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costoro, non volersi quello che si dice di non volersi, mentre in tanto avvetutissimamente si prendono tutti i mezzi onde quello si ha; sì che, se altro non si pretendesse, altri non se ne prenderebbero? Se il fine d’alcuni Poeti fosse stato quest’uno di svegliare col diletto della favola e del verso in altrui stimoli di lascivia, potevano farlo più acconciamente, più efficacemente? E quando componevano, erano o sì stupidi o sì ciechi che non s’ avvedessero? e può dirsi che non volessero quello, che in sì gagliardi mezzi efficacemente volevano? Non potrà egli dirsi a loro proposito ciò, che delle femine lascivamene acconce disse Tertulliano? Quid alteri periculo sumus? quid alteri concupiscentiam importamus? Perit ille tua forma, si concupiscit; tu facta es gladius illi.

Ancor ne’ primi secoli della Chiesa certi Cristiani, che, prima di battezzarsi erano di professione Scultori, volevano che fosse jor lecito intaljare come prima e vendere statue di Giove, di Marte, di Venere; e difendevano il fatto con dire, che non pretendevano l’altrui peccato, ma il proprio guadagno: di sustentare sé in vita, non di fare, che altri cadesse. Che le loro statue s’adorassero, esser malizia doll’ idolatria, non colpa della scultura. Noi viviamo secondo la Legge di Cristo, e lavoriamo se- condo i precetti dell’arte: in che dunque pecchiamo? I nostri Poeti, per difendere sé in una causa commune, sentenzierebbero, a favor di questi. Ma e questi e quelli condanna, e giustamente, Tertulliano; e le loro mani, convinte d’essere manus Idolorum matres, dichiara essere manus præmcidendas. Li fece rei di sacrilegio, Sacerdoti d’ idolatria, anzi più che Sacerdoti; cum per te (disse) Dii habeant Sacerdotes.