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30 | dell’uomo di lettere |
ostentabat, quibus abscondendis nulla satis alta nox est1. Ma alla fine, sibi ostentabat. Per velenosi che sieno i dragoni, se stanno ne’ loro covi sotterra, non si giudican sì colpevoli, che debba irsi fin colà giù per cercar d’essi e ammazzarli. Quando escono ad appestare l’aria col fiato, non v’è chi, potendoli uccidere, li voglia vivi. Publicare a gli occhi di tutto il mondo ea quibus abscondendis nulla satis alta nox est, e ciò tanto peggio, quanto più isquisita è la penna che lo ritrà, e l’arte sembra di maestria maggiore, mentre all’usanza della greca antica pittura s’adopera nihil velando2; e trovar premio di quello, a cui non v’è pena che basti; non è questo un miracolo dell’umana, non so s’io dica per minor male stoltezza, o con più ragione malizia?
Pur’è infamia ad un’ nomo vestire abito feminile, e prendere sembiante di donna. E trasformarsi un’uomo non nell’abito ma nella professione d’una vecchia meretrice, sensale d’ogni più sconcia lascivia, questa è onorevolezza, questa è vita meritevole di statue e d’allori?
5.
Le colpevoli discolpe de’ Poeti lascivi.
Ma udiamo ciò, che per loro discolpa, e in difesa de+ gl’impuri libri che stampano, sanno dire cotesti, che dalla fiaccola di Cupido prendono il furore poetico. Ecco la prima difesa:
Che le poesie festevoli e allegre (così apud vos tota Impuritas vocatur Urbanitas3), come che trattengano col diletto della favola e con la dolcezza del verso in pensieri d’amore chi legge, in fine però altro non isvegliano che pensieri: onde il piacere, che se ne ha da chi legge, è tutto della mente, nulla del senso.
Io qui per risposta vorrei farvi sentire, non dico solamente quelle due infelici sorelle, le prime che lessero upa tal famosa Tragicomedia, publicata pur’allora alle