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parte seconda | 27 |
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LASCIVIA
4.
L’indegna professione del poetar lascivo.
San Girolamo, quel bravo Lione, che dalla spelonca di Betleem fece sentire per tutto il mondo i ruggiti della sua voce a spavento dell’eresia e terrore de’ vizj, non lasciò di dare il mal pro alla licenziosa lascivia de’ Poeti, che immascherando le stelle con imagini impudiche, calunniatori invidiosi, e mille volte peggiori de’ Giganti di Flegra, aveano data la batteria al Cielo non con le rupi, ma colle sceleraggini della terra1. Non debemus sequi fabulas Poetarum, ridicula ac portentosa mendacia; quibus etiam coelum infamare conantur, et mercedem stupri inter sidera collocare.
E a dire il vero, meritevoli sono dello sdegno del Cielo e della Terra costoro,
Quorum carminibus nihil est nisi fabula Cœlum2.
Non erano con altri lumi bastevolmente chiari al mondo i lascivi furti di Giove, se anche non isplendevano fra le stelle? Non bastava che fossero ne’ marmi, ne’ bronzi, nelle pitture, ne’ plausi delle publiche scene noti a tutta la Terra, se ancor di più non si dava loro per teatro il Cielo, per imagini le stelle, per ispettatore il Mondo? E poi insegnano costoro, che Giove di colasù scaglia i ful mini contro alla Terra, colpevole di que’ vizj, de’ quali il Cielo è maestro? Una Calisto adultera ha le stelle del Polo, e fa doppiamente la scorta, perchè si viaggi in mare, e perchè si naufraghi in terra; mentre da colasù rilucendo, pare che insegni alle caste ad esser felicemente lascive, quando si truovi un Giove, che paghi l’adulterio con le stelle.
Sic Ariadneus stellis coelestibus ignis
Additur. Hoc pretium noctis persolvit honore
Liber, at æthereum meretrix illuminet axem3.