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parte seconda | 25 |
e le trasfusero in vasi da ogni sordido e vituperoso servigio. La verga di Circe e la penna di costoro gareggiano insieme di forza; potendo questa coll’ignoranza trasformare bellissimi componimenti in bruttissimi mostri, si come quella con la Magia poteva mutare bravissimi Cavalieri in vilissimi animali. Un simile trattamento fece un rozzo Comediante a’ versi d’un’eccellente Poeta, che imitando con gli atteggiamenti e con quella che Cassiodoro chiamò mutola e loquace favella delle mani, antico mestiere de’ Mimi, sì sconciamente rappresentava con gli atti ciò che la poesia esprimea con le parole, che nelle due favole di Niobe e di Dafni, mutate quella in un sasso e questa in un tronco, in questa un tronco, in quella un sasso parea.
Saltavit Nioben, saltavit Daphnida Memphis;
Ligneus ut Daphnen, saxeus ut Nioben1.
Quando ben’in rapire le cose altrui s’usasse quell’avvedimento e riverenza, con che l’Aquila ghermi e portò in cielo il giovane Ideo, senza intaccarlo con le unghie nè stracciargli le vestimenta, e quale appunto Leorca con non minor giudicio che arte l’espresse di bronzo, sentientem quid rapiat in Ganymede et cui ferat, parcentem unguibus etiam per vestem2; pure tanto non basta: chè la discrezione in rubare mitiga, ma non toglie la colpa di ladro. Quanto peggio è sformare, confondere, storpiare l’altrui, per farlo suo? e farlo in questo modo veramente suo, cioè mal fatto, al modo di quel Fidentino, di cui Marziale3:
Quem recitas meus est, o Fidentine, libellus;
Sed male cum recitas, incipit esse tuus.
All’abellimento che si fa, quasi con alterazione di più nobili qualità onde le cose felicemente si mutano (che ho detto essere una maniera di rubare innocente e lodevole), aggiungo per ultimo l’accrescimento della quantità; quando una gran mole d’un piccol seme, e quasi d’un ramuscello un’albero si produce.
Molte cose escono della penna a’buoni Scrittori dette