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parte seconda | 19 |
che di tutti io non potea favellare. Solo a noi, che veniamo dietro a questi, debbo ricordare con Seneca1, che agamus bonum patrem familiae: faciamus ampliora quæ accepimus. Major ista hæreditas a me ad posteros transeat. Multum adhuc restat operis, multumque restabit; nec ulli nato post mille secula præcludetur occasio aliquid adhuc adjiciendi.
Con questo io non vo’ dire, che, per farci inventori di cose nuove, ci facciamo Maestri di Novità, traviando senza ragione (massimamente nelle cose ch’escono dal puro naturale) da quelle vie, che, calcate già tanti secoli sono da’ primi Ingegni del mondo, hanno, per chi le trașcorre, su le confini la Temerità o l’Errore. Far del Diogene, andando contra la corrente di tutti gli uomini, come se moi soli fossime i Savj, noi soli pescassimo al fondo del pozzo d’Eraclito, per trarne la Verità. Stimarci il Sole degl’Ingegni del mondo, non dalla luce di maggior conoscimento del vero, ma dal contraporci al corso di tutto il mondo, e poter dire per vanto ciò che per ammaestramento disse il Sole a Fetonte2,
Nitor in adversum; neque me, qui cætera, vincit
Impetus; et rapido contrarius evehor orbi;
dovendosi anzi da lui medesimo udire, che senza pericolo di caduta uscir non si può da quelle diritte vie, che corse dal carro della luce sono fatte non meno segnalate che chiare:
Hac fit iter: manifesta rotæ vestigia cernes.
Girarsi la Terra con periodo annovale sotto l’Eclittica, e con movimento d’ogni giorno rivolgersi da Oriente in Occidente: la Luna, anzi tutti i Pianeti, non altrimenti che terre volubili, avere abitatori popoli di differenti nature: il Mondo essere di mole infinito, e negl’immensi suoi spazi innumerabili Mondi comprendere, ecc. opinioni sono coteste, che alcuni moderni hanno scioccamente risuscitate, richiamandole dalle tombe, i primi di Cleante e di Filolao, i secondi di Pitagora e d’Eraclito, i terzi di Democrito e di Metrodoro; co’ quali morte, erano state