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parte seconda | 17 |
ma que’ meriti immortali, per cui tutti i secoli avvenire a lui e per lui a Genova e all’Italia tutta si confesseranno debitori di quanto vale un Mondo? Non altrimenti, chi nelle Lettere intraprende a fare il primo la strada alla scoperta di nuovi paesi, ch’è niente meno che navigare Oceani non praticati, conviene, che fra le noje e i tedj del lungo viaggio d’un’infaticabile studio, fra lé dimestiche e spesse congiure della disperazione, vinca mille volte sè stesso, attendendo, come que’ valorosi Cavalieri conquistatori del Vello d’oro, più alla gloria del termine, che alla fatica del mezzo.
Tu sola animos mentemque peruris,
Gloria; te viridem videt immunemque senectæ
Phasidos in ripa stantem juvenesque vocantem1.
Così Omero, primo Poeta eroico, e primo Eroe de’ Poeti; e doppiamente grande, per non avere avuto nė prima di sè chi imitare, nè dopo sè chi l’abbia imitato. E nel primo, maggiore degli Antenati; nel secondo, migliore de’ Posteri: ch’è il gran Panegirico, che in due parole gli strinse Vellejo2, in vece di quant’altro appena poteva dirsi con molto: Neque ante illum quem imitaretur, neque post illum qui eum imitari posset inventus est. Questi, per fin che viveranno al Mondo le lettere (e viveranno per fin che viva il Mondo), sarà nelle lodi de’ Letterati illustre, come quell’avventurosa Argo, che dalle tempeste del mare, che prima d’ogni altra nave solcò, giunse a prender porto in cielo, dove ora è ricca di tante stelle, di quanti Eroi allora fu conduttrice.
Mari quod prima cucurrit,
Emeritum magnis mundum tenet acta procellis,
Servando Dea facta Deos3.
Così dopo mille altri in quest’ultima età il Galileo, Academico veramente Linceo, e per l’occhio dell’ingegno, e per quello del Cannochiale, con che ha renduto sì domestico il commercio della Terra col Cielo, che non isdegnano più le stelle, che prima nascose non comparivano, lasciarsi vedere; e quelle, che già si vedeano,