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parte seconda | 155 |
lo Stoico1, et semper judicio favor officit; nec est, quod mos magis aliena judices adulatione perire, quam nostra. Un buon’amico sarà a noi come a Demostene quello specchio, di cui si serviva, quasi di Correttore, per ammenda de? falli, che nella maniera di recitare commetteva; avendo per costume di non dire in publico cosa, che non avesse provata allo specchio, quasi ante Magistrum2.
Ma s’avverta, che il suggettare i suoi componimenti alla censura altrui non dovrà essere per cirimonia, ma per ammenda; non per aver lode, ma correzione. Anzi s’egli avviene che la modestia o’l rispetto ritenga l’amico dall’usar con noi libertà e rigore, mostriancene risentiti, e diciangli come in simil caso Celio Oratore ad un suo confidente3: Dic aliquid contra, ut duo simus; e siangli, quod non irascatur, irati.
Ma questo è fatto oggidì sì difficile, che, dove pur pochi si truovano che sappiano, niuno quasi v’è che voglia, per amico che sia, prendersi dadovero la carica di fare il Saggiatore degli altrui componimenti. Sanno, che Filosseno Poeta4, perchè usò liberamente la penna in cancellar gran parte d’una Tragedia di Dionigi (uomo che sapeva più fare Tragedie come Tiranno, che scriverle come Poeta), fu per mercede della fedeltà sepolto vivo in una cava di marmi. Non si vuole sdegnarsi d’udir ciò, che si cerca di sapere: altrimenti troveremo negli amici lo stile di quell’antico Quintilio; appresso di cui5,
Si defendere delictum, quam verterė malles;
Nullum ultra verbum aut operam sumebat inanem
Quin sine rivali teque et tua solus amares.
Ma io troppo fin’ora ho fatto il personaggio di quell’antico Tiresia, che, cieco per sè, apriva gli occhi ad altrui, e inciampando egli ad ogni passo, mostrava a’ dubbiosi le vie del camin più sicuro. Non però mi persuado doverne esser ripreso; nè perchè il mio stile sia una lima rugginosa, son’io colpevole, se con esso ho tentato di trarre la