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d’intagli e d’ornamenti, tanto peggio s’impugna e meno · speditamente si maneggia. E ben disse quel bravo guerrier Tebano, Epaminonda, ad un profumato giovane Ateniese, che si ridea del rozzo manico di legno della sua spada1: Quando noi combatteremo, tu non proverai il manico ma il ferro e il ferro ti farà piagnere, se ora il manico ti fa ridere. Auri enim fulgor atque argenti (dice Tacito) neque tegit neque vulnerat.

Sia dunque lo stile, dove s’ha a combattere, non uno sposo, ma un guerriero. Dove le parole hanno ad esser saette, non si empia la bocca di fiori per mandarne ad ogni periodo un nembo; come se i vizj fossero Scarafaggi, a’ quali l’odor de’ fiori è veleno mortale; o si volessero uccidere i suoi avversarj come Eliogabalo i suoi amici, affogandoli nelle rose. È una non ancor’intesa pazzia, far duello ballando, e mescolare gli assalti con le capriole e i fioretti con le passate. Arma nuda non vuole scherzi. Colpi, che hanno a far piaga nel cuore, non si tirano incontrando il petto nemico con maniere vezzose più di chi abbraccia che di chi ferisce.

E con ciò non vi sia chi creda, che allo stile serio e severo manchi la bellezza col mancargli gli abbellimenti delle arguzie e de’soverchj concetti. I Lioni per esser belli non vogliono aver pettinata la giubba, indorate le ugne, • co’pendenti a gli orecchi, e vezzi di perle al collo, lascivamente acconci. Quanto più orridi, tanto sono più belli; quanto più ispidi e rabbuffati, tanto più vagamente acconci. Hic spiritu acer (disse Seneca2), qualem illum esse natura voluit, speciosus ex horrido, cujus hic decor est non sine timore aspici, præfertur illi languido et bracteato.

  1. Syn. de regno.
  2. Epist. 41.