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150 | dell’uomo di lettere |
d’intagli e d’ornamenti, tanto peggio s’impugna e meno · speditamente si maneggia. E ben disse quel bravo guerrier Tebano, Epaminonda, ad un profumato giovane Ateniese, che si ridea del rozzo manico di legno della sua spada1: Quando noi combatteremo, tu non proverai il manico ma il ferro e il ferro ti farà piagnere, se ora il manico ti fa ridere. Auri enim fulgor atque argenti (dice Tacito) neque tegit neque vulnerat.
Sia dunque lo stile, dove s’ha a combattere, non uno sposo, ma un guerriero. Dove le parole hanno ad esser saette, non si empia la bocca di fiori per mandarne ad ogni periodo un nembo; come se i vizj fossero Scarafaggi, a’ quali l’odor de’ fiori è veleno mortale; o si volessero uccidere i suoi avversarj come Eliogabalo i suoi amici, affogandoli nelle rose. È una non ancor’intesa pazzia, far duello ballando, e mescolare gli assalti con le capriole e i fioretti con le passate. Arma nuda non vuole scherzi. Colpi, che hanno a far piaga nel cuore, non si tirano incontrando il petto nemico con maniere vezzose più di chi abbraccia che di chi ferisce.
E con ciò non vi sia chi creda, che allo stile serio e severo manchi la bellezza col mancargli gli abbellimenti delle arguzie e de’soverchj concetti. I Lioni per esser belli non vogliono aver pettinata la giubba, indorate le ugne, • co’pendenti a gli orecchi, e vezzi di perle al collo, lascivamente acconci. Quanto più orridi, tanto sono più belli; quanto più ispidi e rabbuffati, tanto più vagamente acconci. Hic spiritu acer (disse Seneca2), qualem illum esse natura voluit, speciosus ex horrido, cujus hic decor est non sine timore aspici, præfertur illi languido et bracteato.