Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
148 | dell’uomo di lettere |
stentatissimo lume d’una lucerna? con parole tormentate ne’traslati, doppie nelle allusioni, con sensi spiritosi e vivi, più abili a pizzicare il cervello che a muovere il cuore? Mortuum non artifex fistula (disse il Crisologo), sed simplex plangit affectio.
Io per me tanto, quando m’avviene udir maneggiare gli affetti con simili maniere sì disadatte, sento più nausea che chi patisce in mare, e mi pizzica la lingua quel detto d’un savio Imperadore, che ad un suo Ministro, che tutto putiva di muschio, nel cacciarselo di camera e di Corte disse: Mallem, allium oleres.
Come soffrirebbe nell’esprimer gli affetti l’affettazione d’uno stile fanciullesco quel Polo, gran maestro di scena; che per rappresentar più vivamente il personaggio d’Ecuba piangente la perdita del valoroso suo figliuolo Ettore ucciso, di cui portava le ceneri in un’urna, disotterrò le ossa del proprio figliuolo poco prima sepolto, ed empiutane l’urna, con quella fra le braccia comparve in iscena, lasciando l’arte del lamentarsi alla natura, ed esprimendo l’imitazione con la verità, mentre sotto maschera d’Ecuba rappresentava sè padre orbo, e sotto nome d’Ettore piangea la perdita del suo figliuolo? Così tanto è più vero quanto è più naturale lo stile degli affetti; nè è possibile, che mentre corrono tutti i pensieri a’movimenti dell’animo, l’ingegno abbia ozio d’essere studiosamente ingegnoso; nè che mentre è portata dal cuore alla lingua un’impetuosa e torbida piena di mille sensi, s’abbia tempo di scegliere le parole, di travestirle, portandole dal naturale al traslato, e d’infiorarle con abbellimenti e concetti. Anzi, chi ba giudicio di buon peso, se nel trattare qualunque materia d’affetti si vede dall’ingegno, troppo importunamente fecondo, offerire e metterè inanzi a fasci le sottigliezze e gli acuti pensieri, li ributta con la mano, e dice loro; Non est hic locus. Fa coll’occhio della sua mente quel medesimo, che fanno gli occhi del corpo quando veggono troppa luce. Gli stringe la pupilla, e n’esclude una parte. E saggiamente; così come quel celebre Aristonida1,
- ↑ Plin. lib. 34. c. 14.