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vede fa bella: perciò, tantum sibi prædicatorem potuit invenire, a quo jure prima laudetur; quoniam ipsa facit, ut etiam cætera mundi membra digna sint laudibus1.

Questa è la natura e questi i meriti di coloro, che Seneca2, adorando il punto in cui nacquero, baciando la terra in cui vissero, piangendo l’ora quando morirono, chiamò Præceptores generis humani, e, se questo è poco, Deorum ritu colendos. E perchè no? direbbe Vitruvio3: Cum enim tanta munera ab Scriptorum prudentia fuerint hominibus præparata, non solum arbitror palmas et coronas his tribui oportere, sed etiam decerni triumphos, et inter Deorum sedes eos dedicandos.

OSCURITA’

21.

Ambizione, e Confusione; due principj d’Oscurità, affettata, e naturale.

Se opinione non fosse affatto lontana dal vero quella che anticamente ebbe si ferma credenza nel volgo, le stelle fisse essere madri e custodi dell’anime, e ognuno mentre vive aver colasù in cielo la sua, di prima, di prima, di mezzana, e d’ultima grandezza e splendore, giusta i gradi della Fortuna che più o meno riguardevole in terra lo rendono; certe anime oscure, certe menti cimmerie, onde avrebbe a dirsi che fossero scese, senon dalle Nuvolose e torbide stelle, che hanno sì poca luce in tanta caligine, che fra le stelle sembrano anzi macchie che stelle?

Queste sono quelle infelici anime Etiopesse, che tranno oscurità dal Sole padre della chiarezza, imparano la confusione dalla Sapienza madre dell’ordine; dal fuoco del sacro Palladio, onde tanto più luminosi sono gl’ingegni quanto più accesi, altro non prendono che l’oscurità e la negrezza de’ carboni; e sdegnando pupille d’Aquila per

  1. S. Ambr. l. 1. Hex. c. g.
  2. Epist. 64.
  3. Præfat. lib. 9.