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parte seconda | 119 |
Nè questo solo; ma quante volte dubbiosa la mente non sa sgroppare i nodi d’intricate difficultà che le avviluppano i pensieri, tante col desiderio corre a bramare di rivedere in vita quei, che soli potrebbero essere Edipi a’ loro enimmi. Anzi, come già il generoso Macedone1 ad un Messo forestiere, che gli portava una felice nuova, e prima di sporla con la favella ne dava avviso coll’allegrezza del volto. Che ci è? (disse) che porti di nuovo? Omero è egli risorto? Questo solo era il più caro avviso che ricever potesse quel grande Imperadore, che pure avea l’animo e ’l desiderio pari alla monarchia d’infiniti Mondi.
Anche ora, se si chiedesse a una gran parte de’ più savj uomini, qual desiderio abbiano fuor de termini dell’ordinario, gli udireste bramare, che tornino in vita chi Platone o Aristotile, chi Ippocrate o Galeno, chi Archimede o Tolomeo, chi Omero o Virgilio, chi Demostene o Cicerone, chi Livio o Senofonte, chi Ulpiano o Paolo, chi Crisostomo o Agostino.
La loro vita non fu, rispetto alla mancanza di nostra età, sì lunga, che troppo brieve non fosse al bisogno che di loro ha il mondo. Imperciochè sempre acerba è la morte di chi non può morire senza publico danno, sì come non vivea senon per publico bene. Mihi autem (disse il Consolo Plinio2) videtur acerba semper et immatura mors eorum, qui immortale aliquid parant. Nam qui voluptatibus dediti quasi in diem vivunt, vivendi causas quotidie finiunt; qui vero posteros cogitant et memoriam sui operibus extendunt, his nulla mors non repentina est, ut quæ semper inchoatum aliquid abrumpat.
Questi Soli del mondo, i raggi del cui alto sapere avvivano le Scienze, illustrano i secoli, abbelliscono tutta la terra, non meritan forse negli onori quel luogo, che ebbe nella prima formazione delle cose la luce? La luce fatta da Dio degna della prima lode, ch’egli desse di sua bocca a verun’opera delle sue mani. E ciò non tanto perch’ella è bella in sè stessa, quanto perchè ogni cosa che