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Marmora Messalæ findit caprificus, et audax

Dimidios Crispi mulio ridet equos.

At chartis nec furta nocent, nec sæcula præsunt,

Solaque non norunt hæc monumenta mori.

Ben può dirsi avventuroso Metello, che fu portato al sepolcro su le spalle di quattro suoi figliuoli, de’ quali due erano stati, uno era, e l’ altro indi a poco dovea esser Consolo di Roma. Fu questa sì superba pompa di funerali, che lo Storico ammirandola ebbe a dire: Hoc est nimirum magis feliciter de vita migrare, quam mori. Ma in fine era de vita migrare, e i figliuoli, benché a gran pompa, pure lo portarono al sepolcro. I libri soli, non quattro, ma quanti si multiplicano con le stampe, ritogliendo il loro padre alla morte e al sepolcro, vivo lo portano in ogni luogo dov’ essi compajono, e lo posano non che nelle mani ma negli occhi di quanti lo leggono nella mente di quanti l’ intendono.

Ed oh quante volte chi vivendo nella sua patria era non conosciuto o non curato, sì che a gran pena tirò a sé gli occhi d’ alcuni pochi che lo miravano come uomo d’ ingegno, ne’ libri suoi a sé tira il cuore d’ un mondo! così, come già la famosa lira d’ Orfeo, che in terra (disse Manilio) rapiva tronchi, sassi, e fiere; in cielo, ove fu trasferita, si tira dietro le stelle:

Tune sylvas et saxa trahens, nunc sidera ducit.

Testimonio ne sia quel dolcissimo desiderio, che ognuno ha di sapere di qual sembiante fossero i volti e quali le fattezze di coloro, che nelle carte hanno stampata sì bella l’ imagine de’ loro ingegni. Quindi la cura di ritrarli, anzi di fingerli quando per dimenticanza di lunga età non se ne sappiano i volti. Non enim solum ex auro argentove aut etiam ex ære in bibliothecis dicantur illi, quorum, immortales animæ in iisdem locis loquuntur; quinimo etiam quæ non sunt finguntur, pariuntque desideria non traditi vultus, sic in Homero evenit. Quo majus, ut equidem arbitror, nullum est felicitatis specimen, quam semper omnes scire cupere, qualis fuerit aliquis.