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parte seconda 117

inveniri. Est ergo ista valde certior arbitrii proles. Figliuoli immortali, che fanno che il nostro morire sia non altro, che mancare alle miserie, per cominciare in essi a vivere alla gloria: così com’Ercole, mancando in terra fa ricevuto dalle sue fatiche in cielo, e in mezzo d’esse cominciò a risplendere con le stelle, quegli, la cui vita spenta nelle fiamme del rogo pareva ridotta a un pugno di cenere.

Qual sì forte sostegno, quali sì stabili fondamenti ha la memoria de’ nomi e la gloria de’ meriti delle grandi anime, che pareggi l’eterna durata de’ libri? Veggansi gli scempj, che il tempo fa d’ogni cosa, altre precipitando, altre lentamente rodendo. Le rupi sotto il greve incarco degli anni quasi decrepite e curve, non piegano elle verso il sepolcro; e cadendo a pezzi a pezzi, e sparse qua e là con le membra, anzi colle ossa divise, non pare che mendichino dalle proprie valli la tomba? Tisici sotto la ruggine i ferri, non mancano anch’essi impolverati dalla lima sorda del tempo? Altissimi una volta edificj, ora vecchi carcami e nude ossature non di fabriche ma di rovine, se con qualche avanzo di sdrucita muraglia più cadente che ritta si tengono in piè, non pare che mostrino più un trofeo del tempo che un testimonio delle primiere grandezze? Dove una volta furono Tempj di Dei, Sale di Re, Assemblee di Senatori, Academie di Letterati; ora appena vi covano i Gufi, e v’hanno i Lupi ladroni il covile. Intanto nelle rovine di tutte le più stabili e durevoli cose della terra, come si reggono in piè i trofei de’ grandi Ingegni? Nella morte di tutte le cose an che non vive, come vivono i libri, o come vivon ne’ libri i loro Padri, i loro Scrittori? Dicalo il savissimo Stoico di Roma1: Cætera, quæ per constructionem lapidum et marmoreas moles aut terrenos tumulos in magnam eductos altitudinem constant, non propagabunt longam diem; quippe et ipsa intereunt. Immortalis est ingenii memoria.

Dicalo il Poeta Marziale2:

  1. Consol. ad Polybium, cap. ult.
  2. L. 10. Epigr. 2.