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tanto che, compiuto il magistero, venendosi alla raccolta del seme vivo che cercano, truovano un bello ex nihilo nihil. S’ è fatta volatile tutta la speranza, e son rimase fisse sole le fecce. La Fortuna, che stava su un pallone di vetro, rotto quello, è caduta. E da tutto per ultimo si conchiude, che l’ oro non germoglia se non ne’ traffichi, e non fa vena o miniera se non ne’ Banchi.

Io v’ho disegnato alla rozza la stolta ugualmente e infelice fatica de’ miseri Alchimisti, che, con non altro guadagno che d’ un fumo che li fa piangere, spendono ciò che hanno e ciò che sono; affinché nella loro intendiate meglio la pazzia di tanti, che, forniti di qualche talento d’ ingegno, e quello e il tempo e la fatica, con che si limano la sanità e distillano il cervello, spendono nell’ inutile lavorio di certi libri, le cui materie servano solo a consumare il tempo di chi le legge, sì come consumaron la vita a chi le scrisse.

So che Favorino avvisa, che per aguzzare l’ingegno, quando dall’ozio di molto tempo ci paja rintuzzato e ottuso, ottimo mezzo sia prendere a trattare materie inutili e allegre. Così fece egli, che lodò Tersite e la Quartana, come Dione la Zazzera, Sinesio la Calvezza, Luciano la Mosca, e cento altri’ intorno a simili suggetti s’ occuparono. Ma altro è risvegliare o ricreare l’ingegno con materie, benché inutili, almeno allegre; altro stancarvelo attorno con gli sforzi, e consumarvelo col lungo tempo, aspettando da esse tutta la gloria de’ lunghi suoi studj, come quell’ altro, che diceva:

Ille ego sum nulli nugarum laude secundus.

Che vi par’egli d’Aristomaco, che con esattissime osservazioni d’ ogni tempo, poco meno che non dissi d’ ogni ora, per sessanta due anni continovi, spiò la natura dell’ Api? Tanti anni, tanta diligenza, a me non pare, che fossero per minor guadagno, che di scoprire tutti i segreti del cielo, di stabilire tutti i periodi de’ pianeti.

Seneca s’ impazienta con certi Filosofi del suo tempo, che le lunghe veglie della notte e l’ implacabil