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male usando l’ingegno di che son ricchi, consumano sè e lo studio altrui intorno a certe inutili materie, quas neque scire compendium (disse Arnobio1), neque ignorare detrimentum est ullum.

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L’infelice fatica di chi studia e scrive materie affatto disutili.

Gli Alchimisti sono uomini di più ventura che senno. Senno per verità non hanno, benchè del grande albero della pazzia il loro ramo forse sia de’ più belli in apparenza, cioè quel ramo d’oro, che mette prima all’Infern o che a’Campi Elisj. Ma sono ben’anche avventurati; perchè cercando, com’essi dicono, la Pietra de’Filosofi, col favore dell’arte finalmente la truovano, ed è quell’aurea antica Povertà, vero Lapis Philosophorum, che non lasciando loro al mondo nulla, gli toglie dal fastidio di conservare e dal pericolo di perdere, privilegj amendue: della vera età dell’oro. Pretendono i poco avveduti, di fissare il Mercurio in argento; e non s’accorgono, che il Dio de’ Ladri sa meglio torre l’altrui, che dare il suo. Voglion tramutare la Luna in Sole: la Luna, che mai non si perde più, che quando più al Sole s’avvicina2. Ma sopra ogni altra cosa, degna di maraviglia è la forza di quel dolcissimo incanto della speranza, che togliendo a questi miseri pazzerelli di capo il senno, di mano i danari, da gli occhi il sonno, e dal cuore l’amore di tutto il mondo, gli accieca sì, che non veggono quello che pruovano; e tormentando loro la vita niente meno ch’essi i minerali intorno a’quali lavorano, gli rende stupidi alla pena e insensibili al tormento. Così li vedete come Farfalle aggirarsi ogni momento intorno a una piccola lucernetta, che dà calore ad un’ermetico fornello; e in uno stesso tempo ridere a quel lume, e piangere a quel fumo. Fia

  1. L. 3. cont. Gent.
  2. Ne’ Novilunj.