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parte seconda 105

ardite penne, che vi portano alla caduta più tosto che al volo; e fate

          Sì com’il Cicognin, che leva l’ala''
          Per voglia di volar; e non s’attenta
          D’abbandonar lo nido, e giù la cala1.

Ma di questo mi resta a favellarne in altra occasione più avanti.

3. La terza cagione del farsi più sconciature che parti è dal volerli per impazienza partorire prima d’averli compiutamente formati. Non si ode il precetto d’Orazio2:

          Nonumque prematur in annum.
          Membranis intus positis, delere licebit
          Quod non edideris. Nescit vox missa reverti.

Non è poi maraviglia, se funghi nati in un’ora marciscono in due; e riescono le nostre composizioni, diceva Platone, come que’ famosi Orti d’Adone, qui subito et die uno nati, celerrime pereunt.

Agatarco era un Pittore, a cui non bastavano tutte le tele di Grecia, tutti i colori d’Oriente. Compiva egli più velocemente i ritratti nelle sue tavole, che il Sole l’Iridi nelle nuvole. Ma che? Figure erano quelle, che appese in ogni vil luogo, e isposte senza riserbo, non viveano più che gli uomini seminati da Cadmo.

All’incontro Zeusi, che in partorir l’opere sue era più tardo degli Elefanti, e non dava botta di pennello, che non la richiamasse ad un eritico esame, meritò quell’eternità di gloria, a cui sola disse che dipingeva. I più savj uomini sono stati coll’opere de loro ingegni più severi. Il sapere che doveano essere non lette solo ma esaminate da uomini di gran sapere, gli faceva dire con Plinio giovane3: Nihil est curæ meæ satis. Cogito quam sit magnum dare aliquid in manus hominum; nec persuadere mihi possum non et cum multis et sæpe tractandum, quod placere et semper et omnibus cupias.

E tanto basti aver detto di quei, che mal forniti d’ingegno prendono a scrivere suggetti difficili oltre le forze del lor sapere. Or non debbo tralasciare certi altri, che

  1. Dante, Cant. 25. Purg.
  2. In arte.
  3. Lib. 7. Epist. Celeri.