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parte seconda 103

I libri, come diceva Domizio Pisone riferito da Plinio1, thesauros oportet esse, non libros. Ogni parola dovrebb’essere una perla, ogni carta un giojello: sì che chi legge, si facesse in un’ora ricco di quello, che noi abbiamo raccolto in dieci anni.

Ahi dove se’tu andata, preziosa usanza ed età fortunata, quando il mele delle scienze si metteva nelle cere, sopra le quali con uno stilo era costume di scrivere? Quanto più lento andava il ferro in iscolpirvi le parole, ritardandolo la tenacità della cera, tanto più vi si fermava sopra il pensiero, e le cose uscivano più esaminate. Ora le ci portan di volo le parole dalla mano e i pensieri dal capo; e quelle e questi tanto più leggieri, quanto meno pesati. Quel vantatore soldato del Comico2, che diceva,

          Ego hanc machæram mihi consolari volo,
          Ne lamentetur, neve animum despondeat;
          Quia jam pridem feriatam gestitem,

esprime vivamente il prurito, che molti hanno di scrivere, e scriver molto; quasi per consolare le loro penne, che si lamentano di star sl oziose ne’ calamai, senza sputare, in men che non l’ho detto, un libro.

Non è il molto quel che s’apprezza; è il buono. I libri sono come le Anime, la cui grandezza non si misura dalla mole del corpo, ma dalla nobiltà degli spiriti. E verissimo è l’aforismo del grande Agostino3: In iis, quæ non mole magna sunt, idem est esse majus, quod melius.

Sieno pur vasti di mole i sassi de’ monti; un diamante, che pur non è, disse Manilio4, senon punctum lapidis, tanto vince quelli in pregio, quanto essi lui avanzano in mole.

Se aveste a favellare ad un consesso di cento, i più ingegnosi, i più dotti del mondo, votereste loro negli orecchi ciò che vi corre su la lingua, senza scelta, senza ripulimento, e molte volte senza sostanza e senza ordine? o anzi non v’ingegnereste di parlare non solo rose, come

  1. In præf.
  2. Plaut. in Milite glor.
  3. Lib. 6. de Trin.
  4. Lib. 4. Astr.