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parte seconda | 101 |
Quid dignum tanto feret hic promissor hiatu?
O quello scherzo, con che Diogene si burlò della gran porta d’un piccol castello, con dire: Chiudete la porta; se non, il castello vi fuggirà per essa, e vi lascerà senza patria nè casa.
Corrono impazienti l’occhio e la mano, questa a svolgere e quello a legger le carte. At cum intraveris (Dii, Deæque!) quam nihil in medio invenies1! Un’Africa, che d’intorno ha le rive amenissime, dentro una gran parte è sterile arena e nudi deserti di sabbia. Il primo foglio riesce come quel celebre velo di Parrasio, dipinto in modo che sembrava coprire una pittura; onde Zeusi ingannato, flagitavit, tandem remoto linteo ostendi picturam2: ma in fatti altra pittura non v’era, che il velo ingannatore degli occhi, con le bugie del pennello. Così riesce ancor qui vero il detto di Seneca3: Speciosa, et magna contra visentibus, cum ad pondus revocata sunt, fallunt. Ingannano molte volte i libri così come le mela di Sodoma, che, belle in faccia, altro non hanno che l’ipocrisia del parere; perchè dentro sono cenere e fumo, e in aprirsi svaniscono in nulla: Si qua illic poma conantur (disse Tertulliano4), oculis tenus, cæterum contacta cinerescunt.
Gran compassione in vero merita un’Uomo di Lettere, che mettendosi avidamente intorno ad uno di questi libri, che altro non hanno che prospettive e apparenze, truova essere una nuvola dipinta quella, ch’egli credeva una ricca Giunone; e in vece di trarne i tesori ch’egli aspettava, vede che più gli costa il suo libro col tempo che inutilmente spende in leggerlo, che non gli eostò co’ danari della compera che ne fece. Vi pesca dentro giorno e notte, finchè con un nihil cœpimus l’abbandona. Vola coll’ingegno curioso all’apparenza di qualche pellegrino pensiero, di qualche machina di discorso; ma, come gli uccelli che volavano all’uve dipinte di Zeusi, se famelico ci venne, digiuno se ne parte.