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100 | dell’uomo di lettere |
AMBIZIONE
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La pazzia di molti, che, vogliosi di parer Dotti,
si publicano con le stampe Ignoranti.
Quell’insaziabile non dirò voglia ma rabbia che si ha di publicarsi al mondo, volesse Dio, che assottigliasse così l’ingegno, come aguzza la penna; sì che tanto crescessero le Scienze in peso, quanto crescono in numero i libri.
Appena abbiamo messo nel nido d’una scuola il fior delle prime piume al cervello, e già ci pare d’essere non che Aquile ma Mercurj coll’ali in capo. Appena in noi s’è accesa una scintilla d’ingegno, e già con le stampe vogliamo rilucere come Soli, e farci con istrana ambizione maestri prima d’essere compiutamente scolari. Ogni pensiero, che concepisce la mente, ci par degno di partorirsi alla luce: e ancorchè molte volte egli sia niente più che ridiculus Mus; in ogni modo chiamiamo la stampa, che ne sia la Lucina, e lo ricolga, e non che vivo ma immortale lo serbi. Le Zanzare, le Mosche, i Grilli del nostro capo ci pajono meritevoli d’essere imbalsamati, come quell’Ape nell’elettro, e isposti alla vista e all’ammirazione del Mondo. Così
Tenet insanabile multos
Scribendi cacoethes; et ægro in corde senescit1.
Felici le Lettere, se ancor’i libri avessero il loro inverno; e come a gli alberi ogni anno cadono dopo l’autunno le foglie, i fogli alla maggior parte di questi cadessero. Il Mondo con ciò sarebbe tanto più savio, quanto avrebbe in minor numero maestri d’errori e oracoli di bugie.
Quanti libri ci vengono alle mani, che portano in fronte inscriptiones, propter quas vadimonium deseri possit2! In leggere le superbe promesse de’loro titoli, vi verrà su la lingua o quel verso d’Orazio