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parte prima | 7 |
sint Sapientes1. Nè, perciochè avvenga che i libri de’ Letterati talvolta letti da’ Grandi truovino appresso loro lode e applauso, avviene perciò, che i careggiamenti e gli onori, che a’ libri si fanno, si riflettano ne gli Autori: che appunto è quello stesso, che per altro diceva Lattanzio2: adorarsi le imagini de gli Dei, e non prezzarsi gli Artefici che le scolpirono: darsi alle statue doni, ed esiggersi da gli Scultori tributo: onorarsi i sassi come divini, e calpestarsi chi gli formò, come se fosse un sasso: Simulacra Deorum venerantur; Fabros, qui illa fecere, contemnunt. Quid inter se tam contrarium, quam Statuarium despicere, statuam adorare; et eum ne in convivium quidem admittere, qui tibi Deos faciat?
Avventurosi Principi (diceva un gran Duca di Milano), che hanno reti d’oro e di porpora, cori che pescare uomini di gran senno e valore, che sono le più preziose perle, che il Cielo sappia dare alla Terra; hanno ricchezze, con che comperarsi ingegni in ogni professione di Lettere eccellenti, che è mercatanzia sola degna di Principi.
È famosa la stoltezza d’un povero Ricco, che vedendosi un Bue, e volendo pur diventare un’Aquila, si comperò a gran prezzo la lucerna, al cui povero lume vegghiando Epitteto, divenne un Sole della Sapienza morale. Ma una lucerna poteva illuminar ben sì le carte, ma non l’ingegno; dar luce a gli occhi, ma con che pro de gli studj, se cieca era la mente? Vive lucerne sono i vivi Letterati, a’ raggi della cui limpida luce si scuoprono le vere sembianze di Pallade conservatrice de gli Stati e sicurezza de’ Principi. Questi sono gli occhi, de’ quali è verità ciò che di que’ delle Forcidi era menzogna, che possono prestarsi, e con essi un Principe cieco può diventare un’Argo di cent’occhi e tutto vista: ne meno di tanto debbono essere, se vero è in pace l’aforismo, che de gli affari di guerra si legge appresso Vegezio3: Neque quemquam magis decet, vet meliora scire vel plura, quam Principem, cujus doctrina omnibus potest prodesse subjectis.