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parte prima | 69 |
l’argomento prefisse. Onde la materia, che ivi si tratta, può far con costoro ciò che con un’Arciero ignorante fece Diogene1, che vedutolo in cento colpi d’arco non colpire una sol volta nel segno, corse a mettersi per appunto al bersaglio; sicuro, che colui colpirebbe in ogni altro luogo, fuor che dove mirava.
Se pur non voleste, che fosse lode di straordinario ingegno, sapere in maniera favellare lunghe le ore, che, dicendo d’ogni altra cosa, non si tocchi nè pur leggermente quello, di che vuol dirsi. Così giudicò l’Imperador Gallieno, in una solenne caccia, doversi la vittoria ad uno, che lanciate da vicino contra un gran Toro dieci aste con veruna d’esse non lo toccò. Gli mandò egli subito la corona, con dire a chi ne stupiva: Costui ne sa più d’ogni altro. Perchè, lanciar dieci aste in un sì gran bersaglio e sì da presso, e mai non colpire, non è cosa che sapesse farla, fuor che costui, verun’altro. E questi sono i meriti, queste le mercedi de’ figliuoli dell’Ignoranza, quando cercano teatro, e mendicano applausi., Che se per loro disavventura s’avveggono degli scherni che meritarono in vece d’applausi, eccovi ne’ più arditi quelle amare doglianze: la virtù aver per fatale l’invidia:
da gli splendori della gloria nascere le nere ombre della malignità al merito delle lodi farsi compagna la maldicenza, come nel carro de’ Trionfatori lo Schiavo.
Da’ più modesti poi s’odono quelle ordinarie scuse, applicate ancor’a debolissime occasioni: che la difficoltà della materia e l’altezza dell’argomento, pari solo ad un’ingegno Atlante, è stata maggiore delle lor forze. Direste, che ci cadesse a capello la seusa di quel famoso Faustulo, che gittato di sella da una Formica su la quale cavalcava, e vedendone ridere i circostanti, raccordò loro, che ancor Fetonte avea fatta una simil caduta. Eccovi il testo:2
Faustulus insidens Formicæ, ut magno
Elephanto Decidit, et terræ terga supina dedit.
Moxque idem ad mortem est multatus calcibus ejus
Perditus, ut posset vix reparare animam.