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parte prima | 57 |
In parvo cum cerneret Omnia vitro,
Risit, et ad Superos talia dicta dedit:
Huccine mortalis progressa potentia curæ
Jam meus in fragili luditur orbe labor.
Venne voglia a Díonigi Siracusano dì filosofare, e farsì così felicemente tiranno degli animi con la lingua come l’era sceleratamente de’ corpi col ferro. Invitò dunque e condusse da Atene a Siracusa Platone. Nè ci voleva altro maestro per dirozzare quel sasso, di cui però non si potè mai scolpire un Mercurio: conciosieccosachè Platone potesse ben fare d’uomini Filosofi, ma non di fiere uomini. Egli venne con la bocca piena del suo mele attico: ma quella spugna inzuppata di sangue umano non ne potè succiare una stilla. Intanto, mentre Dionigi l’udiva, mutò scena tutta la Corte; come certi palagi incantati, che ad un cenno di magica verga repente si cambiano d’un’in un’altro. Il Palagio reale, macello di Siracusa, e più spelonca di Cacco che palagio d’un Re, si mutò, subito in un Liceo, anzi in un tempio di Sapienza, in cui non gli uomini solo, ma insino i sassi delle pareti filosofavano; poichè non v’era palmo di marmo, che non mostrasse il disegno di geometriche dimostrazioni, o il computo di filosofici numeri. Già Dionigi avea sepolto il nome di publico Carnefice in quello di Filosofo, e cominciavano a mirarlo come un Semideo fra’ Principi quelli, che fino allora l’avevano abborrito come una Furia dell’Inferno. Tanto posson le Lettere in un Principe! tanto può un Principe professore di Lettere in una Corte!
9.
Ignoranza, e Professione d’Armi.
Troverò forse difficultà a mostrare, che metter Lettere in un Soldato, non sia come allacciargli un filo di perle al collo, e farlo anzi una sposa che un soldato. Alcuni sono di parere, che le Lettere snervino l’animo, sottraendo al cuore gli spiriti, che si consuman nel capo;´