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44 | dell’uomo di lettere |
tutta l’anima in un profondo pensiero; ch’era l’ordinario raccoglimento ch’egli avea negli studj?
Voi siete fisso in un letto col corpo, ma non vi ci lasciate incatenar con la mente; e tanto non sarete presente a’ vostri dolori, quanto con questa ve ne dilungherete1. Illud est, quod imperitos in vexatione corporis male habet. Non assueverunt animo esse contenti. Multum illis cum corpore fuit. Ideo vir magnus ac prudens animum deducit a corpore, et multum cum meliore ac divina parte versatur; cum hac querula ac fragili, quantum necesse est. Vuol dire (e parla ivi Seneca del Savio infermo ), ch’egli è come un Compasso, che se ha una parte sua immobilmente fissa col piè, coll’altra d’intorno s’aggira, descrivendo maggiori o minori i cerchj, sì come più o meno dal centro si dilunga.
Ma eccovi nell’esempio d’un solo i precetti di tutti. Nella vista di Possidonio Savio infermo, l’autentica di quanto ho detto; che le Lettere e la Sapienza portano il letto sopra l’inondazione de’ dolori, come i Coccodrilli il lor nido sopra quella del Nilo.
Questi era Filosofo, e di molt’anni infermo, e carico di più dolori che membra, poichè in ogni parte del corpo molti ne pativa; e se si fossero ripartiti a molti uomini, avrebbero fatto un’intero spedale d’infermi, dove che, raccolti in lui solo, non facevano nè anche un’infermo. Mercè che la fortezza dell’animo suppliva alla debolezza del corpo; e non gli penetravano al cuore i dolori delle membra inferme, più di quello che le saette arrivino alle viscere dell’Elefante, mentre gli muojono nella pelle, sì che
Tot jaculis unam non explent vulnera mortem;
Viscera tuta latent penitus2.
Quella tanto da gli Scrittori celebrata gran pruova del romano valore che Muzio Scevola diede al Re Porsena, quando, più dolendosi dell’errore che dell’incendio della sua mano, la mirò intrepidamente arder nel fuoco egli che non l’avea veduta senza sdegno errare nel colpo, con