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Se dunque tanto può, la disposizione dell’animo nelle impressioni del corpo; qual vantaggio del Savio infermo, aver sì intrepido l’animo e si tranquilla la mente, che e non possa in lui il timore per cagionargli angosce e sfinimenti di cuore, e l’acerbezza stessa del male nella tranquillità dell’animo si rabbonacci e rimetta del suo furore? Levem morbum (disse Seneca) dum putas facies, Omnia, ad opinionem suspensa sunt. Non ambitio tantum ad illam respicit, aut luxuria, aut avaritia. Ad opinionem dolemus. Tam miser est quisque, quam credet.

Ma non accrescersi il male è poco, se di più non si scema: e si scema; e tanto, quanto, occupando la mente altrove (che ad uomo di studio è agevolissimo ), ella si ritoglie dal senso del dolore presente, e, quasi un’aghirone in tempo di grandine e di pioggia, sormonta le nuvole e va a godere il sereno.

Presa Siracusa da Marcello, e piena delle grida de’ vincitori e delle strida de’ vinti, mentre quegli inondano e questi fuggono per tutte le strade, solo Archimede ha l’animo sì raccolto fra le linee d’alcune figure matematiche che descrive, che non vede, non sa, non odo nulla di quanto fuori di lui si fa, anzi, ha perduto sé stesso ne’ suoi pensieri; sì che ucciso da un’impaziente Soldato, prima s’avvede d’esser morto che di morire, e più si duole di non finire la dimostrazione che di finire la vita. All’incontro Solone, boccheggiando ne gli ultimi fiati mentre stava morendo, in udire alcuni Filosofi che di non so quale accidente attaccaron disputa vicino al suo letto, si dimenticò di morire; e richiamando al capo l’anima fuggitiva, come chi o si sveglia o risuscita, apri gli occhi e, gli orecchi, né prima finì di vivere, che essi finissero di disputare. Seneca non fuggì egli una volta, sì come egli medesimo riferisce, dalle febbri che lo cercavano, correndo nell’ore vicine all’accessione a nascondersi nelle più segrete speculazioni della filosofia? L’angiolo San Tomaso non sottrasse il senso al dolore che gli avria cagionato un tocco di fuoco, col raccorre avvedutamente