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Latet, nullaque in luce videtur;

Omnibus auditur. Sonus est, qui vivit in illo.

La solitudine e ‘l silenzio, compagni indivisibili dello studio, per cui trovare altri si sepellisce ne’ più riposti nacondigli di casa, altri nelle selve e nelle caverne, questi aveano nelle loro prigioni compagni e con essi tanto men soli, e con la mente tutta in sè stessa raccolta, aveano colagiù si buona vista all’ingegno per ritrovare i più chiari lumi di tutte le Scienze, come dal fondo di quel famoso pozzo, abili si rendevano gli occhi a vedere anche da mezzo giorno le stelle.


Il Savio infermo.


Un Deucalione hanno avuto le favole, che di sassi poteva fare nomini: un Zenone ha avuto la Filosofia, che d’uomini potea fare sassi.

Deucalione ristoratore del mondo, dalle nude cime di Parnaso, unico porto di tutta la terra sepolta in un diluvio e fatta tutta un mare, gittavasi dietro le spalle i sassi, ossa della gran Madre, e, secondo l’Oracolo,

Saxa (quis hoc credat, nisi sit pro teste vetustas?)

Ponere duriciem coepere, suumque rigorem,

Mollirique mora, mollitaque ducere formam.

All’incontro Zenone, in coloro, che uomini riceveva per iscolari, trasfondeva una vena di sasso, e insensibili e duri li rendeva con isveller loro dal cuore tutti gli affetti sì che il Portico, dove egli insegnava, era più tosto una stanza di scultore dove si lavoravano statue, che una scuola di Sapienza dove si formassero Filosofi. La prima e l’ultima lezione era insegnare a metter l’animo in Fortezza reale, si che né le sorprese dell’amore, né gli assalti dell’odio, né gli assedj delle speranze, né le batterie della disperazione, né le scalate dell’audacia, infine, che né