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38 | dell’uomo di lettere |
Parnaso, vi compose gran parte de’ suoi poemi1. E perchè non vi era chi imprigionasse Euripide, egli stesso si serrava nel più cupo fondo di una caverna, e colà dentro scrivea quelle tragedie, che poscia hanno avuto teatro e ammiratore il mondo2. Le prigioni, dove erano chiusi questi grandi uomini, non lasciavano che si vedessero. Ma più li palesavano al mondo i loro scritti, che non avrebbero fatto i loro volti. E come delle imagini di Bruto e di Cassio, non vedute in un publico funerale, disse Tacito3, eo ipso præfulgebant, quod non visebantur; similmente a questi, lo star nascosi nelle tenebre di una prigione diede maggior luce di gloria, che non se fossero stati publicamente palesi.
Oh quanto ben cade loro in acconcio ciò, che Tertulliano4 disse della luce del giorno, che calata di là dall’Oceano d’Occidente, e quasi sepolta sotterra, rursus cum suo cultu, cum dote, cum Sole, eadem et integra et tota universo orbi reviviscit, interficiens mortem suam noctem, rescindens sepulturam suam tenebras! Entrarono questi savj uomini nelle loro prigioni come fra le glebe i semi, che, sepolti sì, ma non morti, senza uscir di colagiù, spuntano rigogliosi da terra, e con le piene spighe che mandano fanno vedere, che, dove parevano morti, ivi lavoravano per la vita di molti. Serrati dentro le torri, e colà girando con infaticabili speculazioni i loro pensieri, si fecero utili al publico: appunto come gli oriuoli delle città, che serrati ancor’essi in una torre prigioni, con un dito che girano su per le ore, danno regola a tutte le azioni di un popolo. Furono fra caverne di vive pietre nascosi; ma, quasi quella favolosa Eco de’ Poeti, perduto ogni altro loro essere, tutta voce divennero, che, da’ sassi delle loro prigioni articolata e scolpita, si fece sentire per tutta la terra: sì che di ognun d’essi può dirsi, come dell’Eco l’Autore delle Trasformazioni5: