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parte prima 31

giovani e più spedite; almeno, in un’uomo di Lettere e minor perdita, che in verun’altro, già che mai non gli manca e patria e vivere. Imperciochè, dovunque va, e ricevuto come le navi dell’Indie, che piene d’oro e di perle fanno beati que’ porti dove entrano e dan fondo.

Scipione, quell’Ercole Romano, che domò non un mostro solo, ma l’Africa madre e nutrice de’ mostri; vinto Asdrubale, ucciso Annone, preso Siface, distrutta Cartagine, soggiogata la Libia, con tanti trofei maggiore d’ogni altro, e solo pari a sè stesso, essendo divenuto il Sole dell’Imperio di Roma, da gli occhi deboli dell’Invidia cavò le lagrime; e perchè era troppo riguardevole, cominciò ad essere mal veduto. Pareva a gli emuli suoi, ch’egli fosse troppo cresciuto, avendo per base della sua gloria le rovine della distrutta Cartagine. Era questa una grandezza, che faceva ombra al merito de gli altri, a cui pareva d’essere tanto più oscuri, quanto egli era più chiaro. E perchè a’ fulmini delle male lingue non vi è alloro che resista, nè grandezza di merito che si sottragga; finite le glorie del suo trionfo, e consagrato col titolo d’Africano, trovò in Roma mostri peggiori che non avea veduti in Africa; accusatori, e maldicenti, che, sotto la scorta di Porzio Catone, chiamandolo in giudicio, lo vollero condannare: reo di che? di quel solo, che fa dolente l’Invidia. Ma l’uomo generoso non volle far nè ridere nè piangere i suoi nemici. Si tolse loro da gli occhi, che stravedevano alle cose sue, ed esule volontario uscì di Roma, che in questo gli fu peggior di Cartagine; perochè da Cartagine distrutta ebbe il trionfo, da Roma conservata l’esilio. Ritirossi a Linterno, piccolo porto per una gran tempesta: e qui, cambiando professione, di guerriero divenne agricoltore, e con quella mano stessa, che nelle secche arene dell’Africa avea piantate le palme di sì gloriose vittorie, cultivava un piccolo podere; cambiata con istrana, vicenda la spada in zappa, l’ariete in aratro, i Cavalli in Buoi, le trincee in argini, le fosse in canali, il piantare squadroni in ischierare alberi, lo sbaragliare eserciti in isterpare spinai, in fine, i combattimenti in lavorio, e le vittorie in raccolta. Con tutto ciò egli non fece sì folte le