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parte prima | 29 |
diceva Antistene1, etiam si omnia desint, solus sufficit sibi. Scaccino (come dissi di sopra) i Clazomenj il grande Anassagora, e, quasi indegno del nome di cittadino, lo privino della città. Egli non più se ne duole, che se uscito fosse non della Patria ma della prigione: ed escluso da un cantone della terra, che alla sua gran mente era st angusto, addita il cielo per patria, e mostra per sue concittadine le stelle. Dovunque egli vada, è coperto sotto il medesimo tetto del cielo; e perciò non gli pare d’aver perduto casa, ma d’aver solo mutato stanza. Quid enim refert quam diversa parte consistat? Valles quidem, et lacus, et flumina, et colles alios videt. Cœlum unum est. Illuc animum erigit, eo cogitationes suas ex omni mundi parte transmittit; nec aliud quam sub tecti unius amplexu, ex alio in alium thalamum transivisse cogitat2 . Scherniscano gli Ateniesi Antistene, perchè non ha casa al mon do, ma tutto il mondo gli è una osteria. Egli si burlerà di loro: Quia quasi cochleæ sine domibus numquam sunt. Viverà alla campagna come i Semidei ne’ Campi Elisj, ne’ quali
- Nulli certa domus.
Esca cacciato da Sinope Diogene; ringrazierà chi gl’intima il bando: sì come Teseo fece con Ercole suo liberatore, quando lo divelse a forza da quell’infelice sasso in cui avea scolpita la pena,
- Sedet, æternumque sedebit;
e da quell’increscevolissimo ozio, che solo bastava a fargli un grande inferno, alla primiera libertà lo rimise. L’oltraggino i maldicenti con raccordargli l’esilio. Egli risponderà: I miei Compatrioti hanno condannato me ad uscir di Sinope, ed io ho condannato essi a restarvi. Intendeva il savio uomo, che anzi sbanditi erano essi, perchè cacciati da tutto il restante del mondo erano confinati fra le mura d’una città, che non egli che da una città e scluso avea tutto il mondo per patria. Lungi da Sinope la mirava come chi rotto in una improvisa tempesta di mare, e battuto dalle onde ad uno scoglio, mira da quelle.