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28 | dell’uomo di lettere |
dal nido; chè il suo uscire è cadere, il suo cadere è perire. Ma chi ha penne forti e ali maestre, muta un nido di paglie, in cui vivea sepolto, con gli ampj spazi e coll’aria aperta di tutto il cielo, che tanto è suo, quant’è la libertà del volo che per esso lo porta.
Chi ti cavò dalla Patria? (disse a Titiro un Pastore) chi ti fece andar pellegrino, e viver forestiere in istrano paese:
- Et quæ tanta fuit Romam tibi causa videndi?
Tedio di servitù, rispose Titiro, mi cacciò fuor del patrio mio nido; amore di libertà mi portò a vivere in paese straniero:
- Libertas, quæ, sera, tamen respexit inertem,
- Candidior postquam tondenti barba cadebat.
Ille (soggiunge il Petrarca1) in sermone pastorio, ut libertatem inveniret, patriam se reliquisse gloriatur: tu Philosophus defles?
Lasciate che piangano i Mori di Spagna, mentre cacciati di colà alla lor’Africa, terra degna di simili mostri, vanno, non come chi muta paese, ma come chi rovina dal cielo; e voltandosi ad ogni passo in dietro, con gli occhi piangenti miran Granata, e giurano, che il paradiso sta a perpendicolo su quel regno2. Linguaggio è cotesto da Sibarita, che ama la Patria come stalla, perchè mena la vita come animale: o da sciocchi simili a quel pazzissimo Ateniese, che diceva, la Luna d’Atene esser troppo più piena di quella di Corinto. E non era la Luna d’Atene più piena, ma il suo capo più scemo. Et hoc idem (soggiungerò con Plutarco3) accidit nobis, cum, extra patriam constituti, mare, aerem, cœlum dubii consideramus, quasi aliquid eis desit eorum, quibus in patria fruebamur.
Rovini la Patria di Stilpone: nelle comuni lagrime egli solo è ridente, e nella perdita universale sicuro. E uscendo solo e ignudo, seco ha tutto il suo, perchè seco ha sè stesso, ma sè stesso savio e letterato. Sapiens autem,