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L’ispida barba, l’incolta capelliera, il diforme ceffo, il cencioso vestito, le rozze e scostumate maniere, l’estrema povertà, nol facevano somigliante ad un nudo, nero, gravoso, e mal tronco pezzo di sasso? Oltre a ciò, una botte era la sua casa, anzi era per lui tutto il mondo, perochè di tutto il mondo altro non volle che quella. L’aggirava a modo suo burlandosi delle sfere celesti, e della ruota della Fortuna: perchè nè quelle co’ lor periodi, nè questa co’ suoi precipizj potevano contrastare alle rivoluzioni della sua botte; nè ọ dare i Cieli alcun bene a chi non volea nulla, o torlo la Fortuna a chi, essendo ignudo, non poteva essere spogliato di nulla. Ma in un’uomo si mal concio e sì male allogato, onde una tanta virtù, e un si potente, dirò così, Magnetismo, che tirar potesse a sè, egli oscuro e mendico, il più chiaro, il più dovizioso Monarca del Mondo? Gran mercè della Filosofia, che in Diogene, come un Sole coperto di nuvole o una Venere vestita da Satiro, pur traluceva di fuori, sì che poteva allettare un tanto Re, e rapirlo all’ammirazione e all’ossequio d’un cencioso mendico.

Ma mendico Diogene? Si mettano in bilancia le sue ricchezze a contrapeso di quelle del ricchissimo Alessandro. Diogene, di quanto il Macedone gli offerisce, non vuole nulla, perchè di nulla non ha bisogno. Alessandro, a cui manca quello stesso ch’egli ha, perchè non gli manchi niente di quanto vorrebbe, desidera di trasformarsi in Diogene e d’esser lui. Dunque Diogene multo potentior, multo locupletior fuit omnia tunc possidente Alexandro. Plus enim erat quod hic nollet accipere, quam quod hic posset dare1.

Perciò, Lettere e Povertà contenta, in chi si uniscono fanno quella felice tempera dell’aurea età, quando; lungi da ogni timore di perdere, vivea ognuno pago del suo, cioè contento di sè; e tanto ricco, quanto senza bisogno, cioè senza desiderio di ricchezze. Così Palemone e Crate, due amici, due filosofi, due mendici, erano da Arcesilao per onore chiamati Reliquie del secol d’oro; e fra le altrui ricchezze e la propria povertà vivevano come

  1. Sen. de Benef. lib 5. c. 4.