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parte prima | 21 |
chi crederebbe, che quando con le Lettere e con la Sapienza si unisce, a guisa d’una Diatessaron dissonante1 che congiunta alla Diapente rende soavissima armonia, amabile e oltre modo gustosa divenisse?
Povertà con Sapienza (disse lo Stoico filosofante) è un complesso divino, che ha tutto, e non ha nulla; anzi solo può dare quello, senza che non si ha nulla, perchè solo è ogni cosa, dico la Sapienza. E non è questa la condizione de gli Dei? Respice enim mundum. Nudos videbis Deos, omnia dantes, nihil habentes2.
Che può egli voler di più nel mondo, chi, filosofando, meglio che ereditando, ha fatto suo patrimonio il mondo? Le cose, che in tanto son nostre in quanto la fortuna e ’l caso ce le lascia, più sono d’altrui che nostre; più prestate che possedute; nè ci fanno beati più di quello, che il sembiante d’uomo uomini faccia le statue. Sapere il Mondo, disse Manilio, è possederlo; sì che ad ogni Demetrio, che ci domandi quid, capta patria, superfuerit nobis, possiamo collo stesso Megarese rispondere: Nullum vidi, qui res meas auferret.
A’ Pellegrini non solo basta il poco, ma dannoso è il molto. Ad un’uomo, che non istà co’ pensieri serrati fra le pareti della sua casa, come il centro chiuso nel circolo, ma sempre con le ali della mente spiegate e rivolte colà ove lo chiama il desiderio di saper nuove cose (con che è pellegrino non solo di casa sua, ma infin di sè stesso), è forse disonore e noja mancar di quello, che, come a pellegrino, gli sarebbe così d’impedimento come di peso? Di qui formò Seneca l’Aforismo: Si vis vacare animo, aut pauper sis oportet, aut pauperi similis3.
Ma eccovi un’eloquente Platonico4, a cui, fosse per ingiuria o per ischerno, fu opposta con una publica accusa come disonorata o colpevole la Povertà. Se tu (risponde egli all’accusatore) fossi tanto Filosofo quanto ricco, intenderesti, che io povero sono il ricco, e tu ricco se’ì