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parte prima | 21 |
chi crederebbe, che quando con le Lettere e con la Sapienza si unisce, a guisa d’una Diatessaron dissonante[1] che congiunta alla Diapente rende soavissima armonia, amabile e oltre modo gustosa divenisse?
Povertà con Sapienza (disse lo Stoico filosofante) è un complesso divino, che ha tutto, e non ha nulla; anzi solo può dare quello, senza che non si ha nulla, perchè solo è ogni cosa, dico la Sapienza. E non è questa la condizione de gli Dei? Respice enim mundum. Nudos videbis Deos, omnia dantes, nihil habentes[2].
Che può egli voler di più nel mondo, chi, filosofando, meglio che ereditando, ha fatto suo patrimonio il mondo? Le cose, che in tanto son nostre in quanto la fortuna e ’l caso ce le lascia, più sono d’altrui che nostre; più prestate che possedute; nè ci fanno beati più di quello, che il sembiante d’uomo uomini faccia le statue. Sapere il Mondo, disse Manilio, è possederlo; sì che ad ogni Demetrio, che ci domandi quid, capta patria, superfuerit nobis, possiamo collo stesso Megarese rispondere: Nullum vidi, qui res meas auferret.
A’ Pellegrini non solo basta il poco, ma dannoso è il molto. Ad un’uomo, che non istà co’ pensieri serrati fra le pareti della sua casa, come il centro chiuso nel circolo, ma sempre con le ali della mente spiegate e rivolte colà ove lo chiama il desiderio di saper nuove cose (con che è pellegrino non solo di casa sua, ma infin di sè stesso), è forse disonore e noja mancar di quello, che, come a pellegrino, gli sarebbe così d’impedimento come di peso? Di qui formò Seneca l’Aforismo: Si vis vacare animo, aut pauper sis oportet, aut pauperi similis[3].
Ma eccovi un’eloquente Platonico[4], a cui, fosse per ingiuria o per ischerno, fu opposta con una publica accusa come disonorata o colpevole la Povertà. Se tu (risponde egli all’accusatore) fossi tanto Filosofo quanto ricco, intenderesti, che io povero sono il ricco, e tu ricco se’ì