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12 dell’uomo di lettere

2.

Il gusto dell’intendere, spiegato,
per saggio dell’altre Scienze, nella sola cognizione de’ Cieli
.

Insegnamento commune1 delle due più celebri scuole, di Pitagora e di Platone, è, che le sfere de’ Cieli, crescendo l’una sopra l’altra con ispazj d’armonica proporzione, nel girarsi che fanno, compongano il conserto d’una perfettissima musica. Ne rende Macrobio la ragione, tratta da’ principi naturali del suono; indi conchiude2: Ex his inexpugnabili ratione collectum est, musicos sonos de sphærarum coelestium conversione procedere; quia et sonum ex motu fieri necesse est, et ratio quoe divinis inest, fit sono causa modulaminis. Nè perchè di cotal musica giudici non sieno i nostri orecchi, dee perciò ella o men credersi, o negarsi; conciosiccosachè quel dilicatissimo suono al tocco de gli elementi, s’ammorzi ed ammutolisca, e ivi più, dove lo strepito più s’inalza. Perciò non fu mal detto da un mio Compatriota, ristampato ingiuriosamente sotto il mio nome: Muto non è, com’altri crede, il cielo:

          Sordi siam noi, a cui gli orecchi serra
          Lo strepito insolente de la terra;
          Fra le cui dissonanze in van s’aspira,
          A l’armonia de la celeste lira,
          Che si tocca per man del Dio di Delo.

Se già non fosse, come avvisa Filone, che Iddio, riserbandoci a miglior tempo il gusto di musica sì soave, ci abbia intanto con particolar providenza distemperati e assordati per essa gli orecchi: altrimenti, dall’armonia di que’ regolatissimi corpi, rapiti fuor di noi stessi, sospesi ed estatici staremmo, non che non curanti del cultivamento della terra e de’ negozj della vita civile, ma

  1. Plutarc. de musica
  2. Lib. 2 de somn. Scip. cap. I