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CAPITOLO VI.

Rose e spine.

Il giorno dopo quella famosa cena (giorno che io vi permetterò di chiamare romanamente quarto Nonas Aprilis, poiché era il terzo sopra le None, che cadevano al quinto giorno del mese) il cavaliero Tizio Caio Sempronio si alzò mal volonticri dalle morbido piume. Quasi non sarebbe mestieri di accennarlo, poiché già s’indovina, argomentando che l’ospite di lutti quei capi scarichi doveva essere andato anche tardi a dormire. Ma siccome tutto è relativo in questo mondo, va detta anche l’ora in cui il nostro cavaliere scese dall’alto giaciglio,.non senza bisogno d’aiuto, per non cascar giù dalla.scaletta, così assonnato com’era. Non c’è che dire, i nostri antichi Romani amavano i loro comodi. Avete già veduto che pranzavano sdraiali, appoggiando il torace sul gomito. Figuratevi ora che dormivano su certi letti così alti, da aver mestieri d’uno /*