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della terra. Ma niente facevano i sacrifizi, o non se ne vedeva ancora un costrutto. I medici, a lor volta, chiamati a consulto, non osando parlare di cambiamenti d’aria, interdetti dal cerimoniale di corte, avevano sentenziato: per guarire l’imperatrice, bisogna tenerla allegra, bisogna divertirla ad ogni costo.

Il consiglio era savio; ma in che modo metterlo in pratica? Concerti di tam-tam, passeggiate dal palazzo della Luna a quello del Sole, pranzi solenni a cui partecipavano tutti i grandi dell’impero, si era provato ogni cosa. Finalmente un editto imperiale, apparso nella «Gazzetta di Sciunt-hyen-fu» (leggete Pekino) invitò i sudditi meglio forniti di studi e di fantasia, ad escogitare qualche divertimento che valesse a dissipare la profonda malinconia della Figlia del cielo.

Piovvero le proposte; ma parve più bella, più nuova, più utile fra tutte, quella di un giovane mandarino della provincia di Sciantung, che tutti coloro i quali avevano uso di scrittura mandassero in segno di augurio i lor nomi alla imperatrice; la quale avrebbe, a questa prova di devozione, noverati i suoi sudditi, e in pari tempo avrebbe passate le ore della giornata osservando la varietà dei caratteri.

Così, pochi giorni dopo la pubblicazione dell’editto, incominciarono a giungere nel palazzo della Luna piena, dove alloggiava l’imperatrice, i quadratini di carta d’ogni genere,