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Gli amici che mi leggono, buona gente e dotata d’una pazienza estrema, mi accusano del troppo slatinare ch’io faccio, quante volte, con una ragione o con l’altra, e magari senza ragione, mi riesce di tirare la mia prediletta lingua morta tra i fatti, le costumanze e le conversazioni dei vivi. L’accusa, non lo nego, è fondata: ma se per questa dovessi mai esser tratto in corte d’assise, potrei certo invocare a mio benefizio le circostanze attenuanti. La gratitudine mi ha fatto colpevole; e l’occasione del peccato, come della gratitudine, mi è venuta dal praticare cogli spiriti; con quelli, s’intende, che si presentano a noi in una tavoletta scrivente.

Saprete, o non saprete, di che cosa si tratti: ond’io, nel dubbio, ne dirò brevemente quello che mi parrà necessario. Tanto, si fa per discorrere, e si passa mezz’ora. Figuratevi una tavoletta sottilina e minuscola, non più larga delle due vostre mani accostate, più lunga di poco, a tre canti arrotondati, poggiata su tre gambette smilze, due delle quali, le posteriori, finiscano in un piede emisferico assai levigato, e la terza, anteriore, sia munita d’un