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62 | la legge oppia |
capegli, coppiere, scalco, cantiniere, cuoco, sguattero e va dicendo. Allora i padroni faticavano in compagnia dei servi, davano loro l’esempio de’ gravi travagli e de’ pasti frugali, sotto il pergolato domestico. Io mi glorio di queste mani, che hanno seminato esse il mio grano e potato le mie viti; me ne glorio assai più che di vederle impugnare questo bastoncello d’avorio. Austere erano le nostre madri, perchè traevano la vita nel loro santuario, preparando il pasto, intendendo alla nettezza della casa, o torcendo il fuso, mentre venian ragionando d’antiche storie e di fortissimi esempi alla famiglia raunata. I giovani, allora, succinti, abbronzati dal sole, crescevano saldi alla fatica, destri ai giuochi del Marte sabino, non già alle amorose follie del Marte greco. Anch’essi concedevano un’ora alla gioia, si sollazzavano anch’essi, ma di gaie favole campestri, piene di sale paesano, che davano il riso facile e largo.
Plauto
Riso che tu hai dimenticato stamane, tornando da Tuscolo.
Catone
Ah, gli è vero, Tito Maccio, e tu mi riprendi a ragione di questa mia sfuriata. Ma se mi fanno uscire ad ogni tratto dai gangheri! Basta, siam gravi e pacati; non è egli vero, Erennio? Qui non bisogna avvilire la dignità dell’ufficio.