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atto secondo 51

che una.... sul sodo. Ero giovine, venuto a Roma per desiderio di gloria, con un viatico di baldanza, di fede, di speranza e di amore; tutte cose da giovani, che non sono mai troppe, a chi fa il viaggio della vita. Ne mangi oggi, ne mangi domani, e, senza avvedertene, la vettovaglia si scema. Un bel dì, fai per guardar nella sacca.... Addio roba mia; la è sfumata. Per fartela breve, vidi la bella in teatro, alla recita della mia prima commedia, che non dispiacque ai Romani. Gloria ed amore!... Queste due allegrezze mi capitarono insieme. Ma come fare per giungere fino a lei, e, giunto, per rimanervi? La poesia era una magra raccomandazione, in quella casa di gabellieri arricchiti. Cerca cerca, non trovai niente, più al fatto mio che di darmi al traffico, per diventare un grosso mercatante. Lo vedi di qui, un poeta mercatante? Io fui proprio quel desso e pigliai presto il tracollo. Fino a tanto ne ebbi nel forziere, pagai; quando non ce ne furono più, mi diedi per morto in balìa del mio ultimo creditore. Le dodici Tavole parlano chiaro: «Se il debitore non paga, nè altri per lui, il creditore lo porti via con sè, carico di ferri, del peso di quindici libbre; o meno pesanti, se al creditore piace». Vedi che cortesia di Tavole! E fortuna che di creditori io ne avevo uno solo! Se ne avevo due o tre, c’era l’altro articolo che faceva proprio al caso mio: «Il creditore tolga al debitore la sua libertà, e, se gli torna, lo venda di là dal Tevere. Se poi ci sono più creditori, il terzo giorno del mercato, se lo facciano a spic-