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giù, quasi straniero in quella casa che era tutta appoggiata su lui, come il vecchio mondo sulle spalle d’Atlante.

Inquieto, dissimulando a stento la sua inquietudine con le somme che non tornavano, con certe carte che andava cercando senza trovarle, col libro maestro che tormentava ad ogni tratto, non volle neanche spiare il ritorno del signor Demetrio, se era uscito, nè la sua discesa al pian terreno, se era rimasto in casa; e veramente non seppe se il suo principale ritornasse di fuori o solamente scendesse dal piano superiore, quando lo vide da capo nel Bottegone. Gli piaceva non saper niente; così avesse potuto seguitare a non saper niente per tutto quel giorno, e per molti altri alla fila!

Ma le cose del mondo non vanno mai come a noi piacerebbe. Quella sera, a cena, Virginio conobbe a troppo chiari segni che il signor Demetrio aveva parlato. La fanciulla si vedeva molto impacciata; non gli volse quasi mai il discorso; non levò mai gli occhi a guardarlo. Anche il signor Demetrio, di solito così discorsivo a tavola, non sapeva che dire, e per tener viva la conversazione non faceva più altro che trovar tutto cattivo, la minestra, il lesso, l’arrosto, perfino l’insalata. Ed era lattuga! Ma sì, perfino quella tenerissima tra tutte le creature di Dio, faceva brontolare il signor Demetrio; neppur quella trovava grazia presso il suo alto giudizio. Per fortuna, coll’insalata ebbe fine il suo posto serale, e col pasto la necessità di barattar parole inutili. La signorina Fulvia fuggì presto da tavola, come quel giorno era fuggito Virginio appena finito il desinare; si ritirò nella sua camera, col pretesto di dover rispondere alla lettera d’una amica, per poterla mandare di buon mattino alla posta; nè lasciò sperare per quella sera di volersi mettere al cembalo, come tutte l’altre sere aveva costume di fare.

Rimasto solo con Virginio, il signor Demetrio trasse una rifiatata, che parve di liberazione.

— Oh! andiamo a prendere una boccata d’a-