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non aveva gli occhi rossi. La notte porta consiglio; a lui aveva anche portato un buon sonno. Era tranquillo, per altro, e ragionò di cento cose col suo segretario, pacatamente, naturalmente, come se niente di grave fosse stato detto la sera innanzi tra loro. Lasciò poi di discorrere con Virginio, per risalire al primo piano; stette un pezzo lassù, e Virginio potè credere che proprio allora si decidesse la sua sorte; ma quando fu di ritorno al pian terreno, il signor Demetrio non parve niente mutato da quello di prima; uscì a prendere una boccata d’aria, stette un pezzo a chiacchierare con qualche amico sulla piazza; rientrò, riprese a ragionare con Virginio e con altri commessi del Bottegone, sempre tranquillo, ilare quasi, che parve miracolo a tutti, tanto erano avvezzi a non vederlo mai di buon umore prima di desinare.

Sicuramente, quella mattina egli non aveva ancora parlato di nulla con Fulvia. Virginio potè averne la certezza a tavola, vedendo la signorina esser tranquilla come il suo babbo, serena nell’aspetto e sorridente. Ad un certo punto, levando gli occhi verso Virginio, fece un atto di meraviglia, e gli disse:

— Come va? non ha dormito stanotte? —

Virginio sussultò, non intendendo bene il perchè di quella domanda improvvisa. Ma pensò ancora che i suoi occhi stanchi, e senza dubbio ancora un po’ rossi, lo avevano troppo facilmente tradito.

— Pochissimo, signorina; — rispose. — Ho dovuto far conti. Qualche volta le somme non tornano, e bisogna cercare la ragione dell’errore; non si ha pace fino a tanto non si riesce a trovarla.

— Eh via! Le mancava il tempo? — esclamò Fulvia, sorridendo. — Non si ammazzi così per una somma che non torna. Si direbbe, a sentirla, che il babbo è un tiranno, pei suoi impiegati, e non li lascia ben avere, neanche la notte. —

Virginio contrasse le labbra, volendo simulare un sorriso, in risposta a quello che temperava