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soprattutto di niente; stringi stringi, e di quel che si è detto non ti resta tanto così nelle mani, o, per dire più esattamente, nell’anima. Ah, Virginio mio, e la serata? che serata magnifica! Fulvia è stata splendida, al pianoforte. Splendida capisci? Così almeno dicevano tutti, ed io non faccio che ripetere. Splendida! è anche una bella parola, e ti dice ogni cosa; pare che oggi serva anche per significare la valentìa di chi suona al pianoforte. Me la rammenterai, questa parola, non è vero? non vorrei dimenticarmene: è proprio nuova di zecca. —
Fulvia appariva tranquilla, sorridendo placidamente alle chiacchiere pazze del babbo. Si poteva credere che fosse molto felice; ma bisognava anche dire che sostenesse meglio di lui la felicità di quella grande giornata, e che sapesse contenerla con grazia, in quella guisa che un buon vaso di porcellana autentica, sottile come un tessuto di mussolina, custodisce il liquore senza che ne trapeli una goccia.
Il giorno seguente capitò ancora il sigmor Momino a salutare gli amici. Passava di là; buona occasione per fare una fermatina e chieder notizie. Il secondo giorno si fermò davanti al Bottegone una carrozza con tanto di livrea; ne scese donna Fulvia e fece anche lei la sua visita, ma molto più interessata che non fosse quella del signor Momino, e con più notevoli effetti; poichè la nobile signora, ottenuto il consenso del signor Demetrio, onorato, onoratissimo di tanta degnazione, si portò via la figlioccia e se la tenne parecchie ore al castello. D’allora in poi si seguirono i rapimenti con una regolarità che onorava molto il signor Demetrio, maravigliando il buon popolo di Mercurano, e facendo sospirare il povero Virginio, che da tutte quelle cortesie non si riprometteva niente di buono.
Oramai la fanciulla non era più di casa sua. Venivano a gran galoppo o al trotto allungato, e la portavano via, o per molto o per poco, o per pranzo al castello, o per una scarrozzata nei dintorni; sempre via, sempre via. Il signor De-