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da scommettere. Lei sarà a fianco della sua madrina, vorrei ben dire. Ma che idea.... che idea, quella del signor Demetrio di far tener la sua bambina a battesimo dalla contessa Sferralancia! È così bello, nella vita, star tutti al nostro posto e contentarcene! Non è solamente bello; è anche nobile, conforme alla dignità del carattere, che tutti dobbiamo aver cara. Ma che pensieri son questi? Non giudico io ora il signor Demetrio, come se egli abbia commesso una debolezza, una viltà? Maledetto soffrire! E adesso, dove sarà? Nel salotto, al pianoforte. Figurarsi se non la voglion sentire, una così brava pianista! Come brillerà!... come l’applaudiranno!... Ma che? non la finiscono mai? Son già le nove; almeno ci manca poco, una ventina di minuti... e non pensano a ritornare? Pazienza: anche questa passerà. Anche questa! ma se è la prima, a farlo apposta! Ecco qua, son le nove; le nove e un quarto; le nove e mezzo, e niente ancora. Che vogliano trattenerli a dormire laggiù? Ma almeno dovrebbero mandare ad avvertire la gente. La gente! che importa la gente.... di servizio? Son due appena, i padroni di casa; tranquilli loro, non c’è da prendersi cura per gli altri. Ed ecco le dieci; ma che cos’è che non si fanno ancor vivi? Ah, i miei nobili signori, con le loro graziette, coi loro complimenti, con le loro istanze garbate, tanto garbate!... —
Ah, lode al cielo, un rumore dalla piazza. Ma erano anche già suonate le undici, all’orologio di San Zenone, le undici! Era stata lunga, la festa; ed era festoso il rumore della piazza, come di una numerosa comitiva che avesse ancor molto da dire prima di sciogliersi. Certo, il signor Demetrio, di cui si distingueva la voce in tutto quel cinguettìo, era stato accompagnato a casa da molti, amici nuovi, tenerissimi amici, che i suoi begli occhi gli avevano procacciati. Brav’uomo, cuor d’oro, il signor Demetrio; ma troppo semplice, troppo facile a credere, a sorbirsi ogni cosa. Pigliasse pure per buona moneta tutti quei fogli della banca dei complimenti; ca-