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me meritate.... e come merita questa bella figlioccia.
— Sì, sì, parli di lei, signor conte. Quanto a me, sarò sempre un assai povero personaggio. E in che arnese, poi!
— Che, che! Venite come siete ora, vi prego. In campagna, perbacco! C’è da stare sulle cerimonie, tra amici? Quanti anni son già che ci conosciamo, signor Demetrio! Ci vediamo di rado, ecco il guaio; ma le vecchie amicizie sono incrollabili, e non le distrugge che la morte. Dalla quale Iddio ci tenga lontani ancora cent’anni.
— «Amen!» — conchiuse il signor Demetrio, messo in confidenza da tanta bontà chiacchierina del conte.
Così prese congedo il signor Momino Sferralancia, non senza altre carezzevoli parole alla signorina Fulvia che era rimasta come inebriata dalla gran gentilezza del suo quasi padrino.
E Virginio frattanto? Virgimo udiva, ed era rimasto male. Dunque, ciò ch’egli aveva tanto temuto dentro, non osando neppure di confessarlo a sè stesso, avveniva? Fulvia al castello! Sì, ancora ventiquattr’ore di attesa, e il fatto si sarebbe compiuto. Ma perchè temeva tanto, e di che? Il conte Spilamberti, quello dei guanti, quello delle lunghe fermate sulla piazza, era ospite in casa Sferralancia. Ebbene, che c’era egli da tremare? Non era quel conte un adoratore di donna Fulvia? Che pericolo c’era che quel nobil signore s’invaghisse davvero dell’altra Fulvia, di una borghesuccia modesta, e sotto gli occhi della gran dama? Al più, ci sarebbe stato un poco di galanteria; ma assai probabilmente neppure quel poco. Quegli occhi onniveggenti delle donne gelose, anche quando le donne vi han dato un successore nell’imperio del loro cuore, quegli occhi non vedono volentieri che si faccia la corte ad altre. In casa sua l'antica bella è donna e madonna; non soffre incensi ad altre divinità; non tollera ad altri indirizzi la ripetizione di un culto di cui ella ha avuto o creduto di avere le primizie. Queste cose Virginio le pensava più