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— Ah! — gridò la figlioccia, che in verità non poteva fare a meno, ad un simile annunzio.
— Rassicuratevi, non è stato un gran male; — fu pronto a ripigliare il signor Momino. — Anzi, vedete, si son pregati gli amici che abbiamo al castello di non andarsene, come volevano fare per eccesso di cortesia. Nervi, che volete? i maledetti nervi. Siamo così fatti noi, povera stirpe di Adamo. Lo ha detto anche Giobbe: «ossibus et nervis compegisti me». È poi Giobbe che lo ha detto? Farò le opportune ricerche. Ed ora vengo alle rimostranze non lievi. Sapete, bambina bella, che la vostra madrina è in collera con voi, ma più col signor Demetrio suo compare, nella cui potestà vivete e che porta sicuramente la malleveria delle vostre opere ed omissioni? Questo caro babbo non vi ha ancora condotta al castello, alla bicocca degli Sferralancia, dove eravate e siete ancora desiderata; e ne siamo scontenti, ed abbiamo ragione di esserne scontenti, donna Fulvia ed io, non vi pare? —
Qui il signor Demetrio ebbe modo di sgonfiarsi, di far la ruota come un tacchino.
— Grazie, signor conte! un tale onore!... Ma per dir le cose come stanno, noi non si sapeva bene.... non ci pareva di ricordare che donna Fulvia ci avesse detto....
— S’intendeva, perbacco; — replicò il signor Momino. — La cosa andava da sè. Una figlioccia tanto carina.... il suo posto era là, accanto alla madrina, che ne è rimasta incantata, e non fa che parlare di lei! Vi si aspettava ogni giorno, vedete? Si diceva ogni giorno: sarà per quest’oggi; sicuramente li avremo a pranzo quest'oggi.
— Oh, questo, poi, sarebbe stato un abusare; — disse il signor Demetrio, muovendo per tutti i versi le spalle. — Ma anche per una visitina, che vuole? non si osava.... ecco, non si osava....
— Non osavate! Che discorsi son questi, signor Demetrio mio bello? Casa Sferralancia è forse un covo di fiere, da averne tanta paura? C’è un orso, veramente; — soggiungeva qui il