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buone parole con tutti, e quando gliene offrivate il destro, prontissimo a render servizio. Non di quattrini, intendiamoci: in punto quattrini era piuttosto taccagno, sebbene per una buona ragione, volendo egli con le sue rendite non troppo vistose bastare ai doveri di una larga ospitalità, che donna Fulvia sua moglie esercitava con tanta sapienza e con altrettanto buon gusto. Ma di consigli, ma di intercessioni, ma di buoni uffizi d’ogni genere, Momino era prodigo, come di gentilezze era liberale sua moglie.

Il grinzoso ricciutello non si era ancora lasciato vedere al Bottegone e neppure per le vie di Mercurano, dove ogni giorno usavano girandolare i suoi ospiti. La cosa non doveva parer poi straordinaria; non ci si poteva vedere una mancanza di cortesia verso il buon popolo di Mercurano in genere, nè verso la famiglia Bertòla in numero e caso. Momino Sferralancia era un dotto, dunque uno studioso; e gli studiosi non vanno giudicati alla stregua di tutti gli scioperati della civil compagnia. Momino era venuto quell’anno a Mercurano due settimane prima del solito, per gran desiderio e necessità di lavorare, premendogli di finire una buona volta la recensione del suo codice, che gli avrebbe assicurata la immortalità del nome, aggiungendo una nuova fronda di lauro alla gloria della stirpe.

Ma tutti i tempi vengono, chi abbia modo di aspettarli. E venne anche il tempo che il signor Momino capitasse in paese. Non crederemo già che il dotto gentiluomo avesse condotto a termine il suo immane lavoro; penseremo piuttosto che il soverchio dell’erudita fatica domandasse l'intervallo di un giorno di riposo e d’una boccata di aria libera. Comunque fosse di ciò, il dotto gentiluomo grinzoso e ricciutello fece la sua apparizione in paese, camminando a passettini corti e frettolosi, colla persona piegata graziosamente in due, come se fosse sempre in un salotto ed incurvasse il busto per dire una parolina amabile a qualche bracciuolo di sofà, oppure a qualche spalliera di poltrona.