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umori e i costumi dei loro ultimi rappresentanti, nella gran vita italiana; quali rimpiangendo gli antichi padroni ed aspettandone il ritorno dagli errori del partito nazionale o dai miracoli della provvidenza, sperata senza ragione ed invocata senza rischio, loro vendicatrice, ai danni della patria; quali adattandosi ai nuovi ordini, ma non uscendo dall’ozio antico, se non forse per gareggiare nelle costose passioni delle cacce e delle corse con le grosse fortune dell’aurea borghesia moderna. Si diceva che il conte Attilio avesse avuto anni prima una fiera passione per donna Fulvia, e donna Fulvia per lui. Se la cosa era vera, di quel fuoco non eran rimaste che ceneri. In casa Sferralancia, del resto, il conte Attilio seguitava a bazzicare come prima, senza smettere un punto dell'antica dimestichezza, senza prender ombra del dolce Possidonio Zocchi, un giovane avvocato tanto carino, che faceva allora le sue prime prove nel mondo. Il conte Spilamberti poteva avere un trent’anni, o poco meno: l’avvocato Zecchi ne aveva venticinque: donna Fulvia ne accusava trentasette, ma certo non aspettava più i quaranta. Cose queste da tenere in gran conto, non vi pare? I cuori, invecchiando, diventano sempre più teneri.

Che cosa ne pensava Momino? Momino, per verità non ne pensava nulla: pensava già così poco, il brav’uomo, che non gliene sarebbe rimasto, a volerlo, quanto sarebbe stato necessario a queste miserie della vita; le quali non debbono poi esser prese tanto sul serio; specie dagli uomini di dottrina. Momino era un dotto: in gioventù, veramente, s’era piuttosto occupato di cantanti e di ballerine, dando le sue cure intelligenti alle commissioni teatrali; ma in processo di tempo aveva smesso, volgendo a più alte cose la mira; e questo sia detto ad onor suo, molto prima che facesse le grinze la sua pelle bianca e rosata, e che si diradasse, sbiancando un pochino, la sua zazzeretta rossigna, ancora e sempre ravviata ed inanellata sulle tempia, per modo da ricoprire mezzo il padiglione degli orecchi.