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quello che cercavo, da prender note e da segnarci magari qualche contorno a matita. E carta da disegno, per caso, ne avrebbero?

— Sicuramente, — disse il signor Demetrio, che s’era fatto avanti per far conoscenza col compagno del marchese Paganuzzi. — Qua dentro abbiamo di tutto.

— Caspita! — mormorò l'avventore, inarcando le ciglia, e dando la sua crespa leggermente sarcastica al labbro superiore. — Mi congratulo con lei. Ma non sarà forse un dir troppo?

— Provi a domandare, signor mio; — replicò il signor Demetrio; — c’è di tutto.

— In materia di cartoleria, capisco; — disse l'altro, abbassando le ali e facendo un risolino di condiscendenza.

— E d’altro ancora; — ribattè il signor Demetrio. — Le ho detto di provare.

— Conte mio, — disse allora il Paganuzzi, tralasciando di parlare con la signorina Fulvia; — non essere uomo di poca fede, qui dentro. La fama del Bottegone è stabilita da un pezzo. C’è proprio di tutto, come a Parigi nei magazzini del Louvre. —

Quell’altro sorrise ancora, sempre più gentilmente, disposto a darsi per vinto al primo assalto, ma pur volendo tentare la prova per l’onore delle armi.

— Anche guanti? — rispose egli. — Ne sono per l’appunto sprovvisto. —

Il signor Demetrio si morse le labbra. Egli aveva forse abusato della sua frase favorita, buona sì per il popolo minuto di Mercurano, ma non per i signori che venivano dalle grandi città. Guanti! Sicuro, ci dovevano essere anche dei guanti, nel Bottegone; ce n’erano stati in altri tempi, e qualche paio ne doveva pur rimanere in certe scatole, non più toccate da un pezzo. Bisognava trovarle; e il signor Demetrio, così fuori d’esercizio com’era, non sapeva dove fossero andate a rintanarsi. Ma poi, se anche si fossero trovate, ci poteva essere roba da presentare al compagno del marchese Paganuzzi? ad un conte, come costui