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ne così grossamente, si sarebbe potuto argomentare che dalla madre sua, una buona posta di donna, e dal suo babbo, un buon diavolaccio, non fosse potuta nascere un’aquila. Tutto ciò che quella ragazza sapeva, tutto ciò che si diceva delle sue cognizioni, era certamente il frutto degli studi fatti con gran diligenza e assiduità in sette anni di conservatorio. In sette anni s’imparano molte cose, quando si ha voglia, quando maestri e maestre sian sempre lì a battere il chiodo. Perciò, senza arrischiare il giudizio circa l’ingegno, si ammetteva volentieri un buon frutto degli studi; e ce n’era sempre abbastanza per collocare la signorina Bertòla in alto, molto in alto, nella pubblica estimazione.
Ed ora che dal collegio era tornata a casa, che fine avrebbe fatto? Una ragazza non può starsene mica a spulciare il gatto; specie quando è piacente, ricca, virtuosa, di buona famiglia, e fornita di un’ottima educazione, che certamente non guasta mai. Bisognava dunque trovarle un marito; ma dove? In paese, a passar tutti i giovinotti in rassegna, non se ne trovava uno che pubblica voce potesse assegnare a quel fior di ragazza.
A Mercurano, come avviene in tutti i piccoli paesi e qualche volta anche nei grandi, era la pubblica voce quella che faceva e disfaceva i matrimonii, prima che li avessero a fare e a disfare le persone direttamente interessate nel negozio. Quella ragazza andrebbe bene al tal giovanotto; dunque la cosa si può fare, si farà, sarà fatta. Quel giovanotto sarebbe la man di Dio per quella famiglia, che scarseggia d’uomini, e il cui capo non ha testa da farla prosperare: dunque sia lui il prescelto; fuori di lui non c’è via di salute.
Ma per quella ragazza così ricca e tanto signorilmente educata, non c’era lì per lì il giovanotto da mettere in mostra, il partito adatto che la pubblica voce potesse favorire. Neanche il figlio del sindaco era fatto per lei, quantunque si sapesse che quanto a beni stabili il signor sindaco poteva rivaleggiare col signor Demetrio Ber-