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rigi. Quel pover uomo era stato cortese, e lo stupore che gli si vedeva impresso nel volto dimostrava benissimo com’egli non avesse parlato a quel modo per mero complimento. E lui, allora, il signor Virginio, si era sentito tanto commosso dalle parole del viaggiatore, che gli aveva dato, scambio di dieci o venti soldi, a dirittura uno scudo; onde lo stupore di quell’altro ebbe ragione di crescere, davanti a una liberalità così grande. Certo, in cuor suo, il viaggiatore pensò che se la sua bella interlocutrice di Mercurano poteva essere creduta all’accento una parigina, il suo interlocutore e distributore di scudi doveva essere un russo, a giudicarlo dagli atti. Il russo, si sa, è in Francia il tipo della prodigalità, della munificenza, principesca e regale.

Povero principe russo di Mercurano! l’aveva a sposar lui, proprio lui, quella gentil parigina, quella stupenda creatura, uscita pur dianzi con tutte le grazie, con tutte le finitezze della gran dama, dal collegio di Lodi? Ah, in verità, non sentiva di meritarsela; e lo andava ripetendo a quel babbo che gliela offriva: — no, no, pensateci bene, signor Demetrio; non son degno di tanto.

— Che degno mi vai degnando tu ora? — gridò seccato quell’altro. — Per caso, non ti converrebbe il partito? Parla chiaro, sai? Non intendo d’imporre la mia volontà a nessuno: e la mia franca proposta merita bene una franca risposta.

— Signor Demetrio.... mio buon principale.... che cosa dite voi ora? — gridò Virginio, turbato, con le lagrime agli occhi. — Io mentire a voi? io non gradire il partito? Mi credete voi pazzo, o cattivo? Perchè dubito di me stesso, perchè non mi riconosco degno di tanta vostra bontà, potete voi immaginare che io miri a dissimulare un rifiuto? Se voi mi diceste: «Virginio, qui c’è la mano di mia figlia, e qui il trono del mondo,» io sì, allora, ve lo giuro per la memoria di mia madre, rifiuterei quel trono.

— Che sciocco! Io, nei tuoi panni, accetterei l’uno e l’altra; — rispose il signor Demetrio, ridendo. — Ragazzo mio, bada a te; chi non tira