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tendina dipinta a tempera, con la veduta d’un laghetto, sulle cui onde più azzurre del vero diguizzava un candidissimo cigno, in mezzo alla pompa di alcune piante esotiche, dalle foglie smeraldine e dai grappoli di fiori vermigli.

Quella tendina, moderando la luce, toglieva anche di vedere la brutta inferriata della finestra, che avrebbe dato aria d’una prigione a quel nido dei numeri. E pareva proprio d’essere in un salottino, vedendo sospeso alla parete un ritratto del signor Demetrio; ritratto a olio (e niente burro, soggiungeva facetamente l’originale) ritratto a olio, cavato da una fotografia del personaggio, mercè l’arte modesta e modestamente ricompensata d’un pittore girovago. In fotografia, non essendo più passati pittori da quelle parti, c’era il ritratto della signorina Fulvia: intorno al quale si rigirava ancor fresco un ramo d’ellera, non messo là certamente dal babbo.

Del resto, non erano fermate lunghissime quelle che la signorina Fulvia faceva al pianterreno. Salvo i casi straordinarii, ci scendeva due volte al giorno, per avvisare il babbo e il signor Virginio, quando era all’ordine il desinare o la cena. Mercurano serbava fede ai vecchi usi della regione: si desinava al tocco; si cenava alle sei, o alle sette, secondo le stagioni.

Le giornate della signorina erano tutte piene di gaio e svariato lavoro; continuazione delle sue giornate di collegio, ma più liberamente divise, poichè non c’erano più ore di scuola. Si alzava di buon mattino e rassettava lei la sua cameretta; buona usanza di collegio, che una donnina a modo non deve lasciar mai, qualunque sia la sua condizione sociale. Poi disegnava, o dipingeva; ordinariamente all’acquerello, e fiori, che erano la sua passione. Preso il suo caffè e latte, e fatto un giro in giardino, risaliva nelle sue stanze per mettersi a scrivere le sue lettere, per tenersi viva con le maestre e con le amiche di conservatorio. Scendeva all’ora della colazione, per avvisare il babbo e per lasciar giù le sue lettere, da mandare alla posta. Dopo la colazione