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Sentirono la repugnanza di lei i garzoni di quella parte più modesta e più antica del Bottegone? Sì, certamente, la sentirono, ma come potevano sentirla spiriti umili, che non vedono ingiuria nella mancanza di onore a cui sanno di non avere diritto. Perchè mai la bella signorina sarebbe giunta sin là, col pericolo di tingersi il bell'abito di mussolina bianca, che le stava così bene?

Scendendo al pian terreno, ella giungeva pure allo stanzone delle pannine. Là dentro, almeno senza timore di macchiarsi, andava e veniva a suo bell’agio, facendo calare dagli scaffali or questa ed ora quell’altra pezza di stoffa, sciorinando e palpando, contentando sopratutto la sua artistica curiosità di figlia d’Eva, che in ogni morbidezza di tessuto, in ogni varietà di colore vede già col pensiero l’effetto di una nuova veste indossata. E là dentro si lasciava cogliere perfino da qualche avventore, in atto di osservare, di confrontare, di mettere in mostra sul banco, di ottenere bei partiti di pieghe; la qual cosa non era neanche senza utile del negozio, poichè più volte accadde di veder comperare senza tante esortazioni un taglio di stoffa, solo perchè l’aveva toccato e lodato la signorina Fulvia, la reduce aristocratica del collegio di Lodi; il primo d’Italia, come oramai dicevano a Mercurano, avendocene pochi degli spiccioli, e meno da spicciolare.

Anche là dentro la signorina si fermava poco, amando di restare tra la libreria e la cartoleria, dove era il salottino del Bottegone. Si chiamava con quel nome pomposo un camerino di passaggio, dov’era un piccolo canapè, sacro a qualche pisolo meridiano del signor Demetrio, e più in là, sotto la luce di una finestra dalla parte del cortile, la scrivanìa del signor Virginio con un alto leggìo, su cui si vedeva squadernato il libro maestro. Virginio Lorini aveva arredato quel sacrario della contabilità con una certa eleganza, che contentava l’occhio e rallegrava lo spirito. Nel vano delle grandi cortine di «crétonne», che ornavano l’ampia finestra, scendeva una bianca